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Ultimo aggiornamento: 8:50 del 24 Luglio 2018

Roma, i rifugiati sudanesi sfrattati: “Non possiamo tornare nei centri accoglienza”. L’assessora: “Alternativa alla strada”

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Prosegue il presidio dei rifugiati di via Scorticabove, a Roma Est. Sono in strada dal 5 luglio scorso, quando il simbolo della comunità sudanese a Roma – l’immobile nella zona industriale della Tiburtina – è stato sgomberato dalle forze dell’ordine in esecuzione a un ordine di sfratto per morosità: da allora dormono in tende e furgoni proprio davanti al palazzo dove fino a pochi giorni fa vivevano.

Ieri, lunedì 23 luglio, i rifugiati hanno incontrato l’assessora alla Persona e alle Politiche Sociali di Roma Capitale, Laura Baldassarre, nell’ambito di un tavolo avviato con la comunità sudanese proprio in seguito alle operazioni di sfratto effettuate dalla Questura a inizio mese. “Abbiamo ribadito la disponibilità ad accogliere le persone sfrattate presso le strutture alloggiative di Roma Capitale”, spiega Laura Baldassare al Fatto.it. “I posti ci sono, nell’ambito del circuito per migranti ‘fragili’. Ma solo due persone, finora, hanno accettato”.

“Dopo 15 anni in questo paese e un percorso di integrazione che abbiamo realizzato da soli, senza le istituzioni ma autorganizzandoci, non possiamo tornare indietro nei centri di accoglienza”, dice Adam, rappresentante della comunità sudanese al termine dell’incontro presso l’assessorato. “Chiunque sia per strada è ‘fragile’, purtroppo”, ribatte Baldassarre.

“Ci hanno offerto posti solo per alcuni di noi. Ma noi siamo 120, molti nostri compagni ora non ci sono perché sono a lavorare nelle campagne in Puglia o in altre regioni. Non possiamo accettare una soluzione che non coinvolga tutti”, dice ancora Adam. “Ma soprattutto vogliamo poter trovare una soluzione grazie alla quale possiamo continuare a portare avanti le attività di integrazione per i nostri connazionali in Italia come abbiamo fatto sin qui”.

E in effetti, per il medio periodo, si stanno studiando – dice ancora Baldassarre – soluzioni nuove, sperimentali, anche di cohousing “per la comunità sudanese”. “Chiederemo subito all’Avvocatura capitolina la fattibilità giuridica di una soluzione che consenta di ospitare in unico immobile queste persone, tramite una progettualità ad hoc che ne tuteli l’idea di comunità anche alla luce della specifica normativa regionale e nazionale”, dice l’assessorato.

Il prossimo incontro del tavolo si svolgerà il 6 agosto.

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