Cara mamma di un figlio disabile come il mio, cara mamma che dopo 15 anni devi ancora ascoltare il male che si fa uomo attraverso alcuni coetanei che non sono come i nostri figli. Mia figlia di anni ne ha quasi 20 e ne ho sentiti tanti di commenti di questo tenore da bambini e da anziani, da uomini e donne, da addetti ai lavori e anche no. Sai cosa penso io che sono mamma come te? Che la colpa non è loro. Sono i messaggi di finta e ipocrita uguaglianza e parità che inducono la farsa della finta accettazione e poi portano queste conseguenze.

Fino a quando non perseguiremo il valore della unicità della persona, fin quando non riconquisteremo il diritto alla umana imperfezione e fino al momento in cui non riscopriremo la curiosità costruttiva del confronto in quanto diversi, bè non dovremo stupirci se la considerazione che emerge è lo scimmiottamento del diverso. Perché in realtà noi denotiamo un comportamento grave verso il nostro figlio meno che socialmente perfetto. Poi però entrando nel mondo dei grandi numeri ho avuto occasione di scoprire che si scimmiottano ragazzi per particolarità a volte non solo assolutamente impercettibili ma addirittura belle da notare: un rossore di timidezza, uno sguardo svampito, un taglio diverso o un abito fuori dallo schema. Tutto questo è ancora più grave perché indica un parametro di pochezza sociale molto ampio, figlio (a mio avviso) della cultura del tutti uguali e tutto per tutti: chi non può o non vuole associarsi a un parametro è tagliato fuori. Questo è ciò che ho imparato. Trovo troppo semplice accanirsi contro i bulli. I bulli sono vittime di loro stessi innanzi tutto e poi di quella loro maschera di spregiudicatezza che in realtà copre un disagio che non vogliono mostrare e che fa la stessa paura della sedia a rotelle o del tutore o del comportamento alieno che alcuni nostri figli sembrano assumere in talune occasioni.

Cito un paio di episodi che mi hanno segnata profondamente: Diletta era alle elementari. Orario di uscita. Passavo di li per sicurezza. In un parcheggio affollato di una Roma invivibile il pulmino blocca il transito del parcheggio. Il mio cuore era già a pezzi di suo. Fu preso e stritolato dalla voce di una donna grande di età che dal volante della sua automobile gridò: “Ma se li tenessero a casa questi handicappatti che la gente ha da fare!”. Scesi, andai dalla signora e presi tra le mani la collana che indossava e le dissi: “Io sono la madre dell’handicappata, bella la sua collana, può ripetere che non ho capito?”, sciolsi lo sguardo dal suo e andai via. Altro episodio: stesso parcheggio ma questa volta ero io a dover far salire Diletta sulla macchina e quindi avevo bisogno di tirare giù la pedana. Ovviamente mi avevano chiuso il passaggio. Suono, mi ribello, mi irrito. Arrivò un padre che teneva due bambine bionde per mano. Gli espressi il mio disappunto e il tizio replicò (cito in dialetto romano le testuali parole): “Ahò! Ma che voj! Mica ce l’ho io le figlie handicappate!”. Rimasi muta e senza dire una parola sentii un cazzotto in piena faccia. Ma poi si va anche in giro e una volta in spiaggia due amiche molto carine di mezza età, abbassando la voce ma non abbastanza dissero: “Guarda quella e dimmi se ti sembra che deve portarla al mare, a me fa pure schifo fare il bagno nella stessa acqua”. Mi girai e dissi: “Eh sì, proviamo più o meno lo stesso schifo reciproco!”

Potrei continuare fino a scrivere un volume o addirittura una collana. E raccontiamo ciò che sentiamo perché poi a un certo punto impariamo a selezionare le parole che ascoltiamo e diventiamo bravissime a non vedere e non ascoltare limitandoci a vivere una vita molto migliore di chi riempie la sua giudicando noi. Cara mamma, hai visto quanti messaggi di solidarietà? Bè, cara mia, non ti illudere, perché domani sarà come oggi. Però tuo figlio ha ragione, non spendere le tue energie altrove. E credimi la gioventù non sbaglia. Siamo noi che sbagliamo quando continuiamo a dire che siamo tutti uguali, che i disabili sono tutti geni e tutti campioni, tutti dolci e tutti buoni e tutti laureati. Quanti ragazzi non disabili sentono parlare così di loro? Ecco qui. Abbiamo insegnato la base della critica ipocrita.

Non solo. Quando inizieremo a dire che il prossimo va rispettato perché esiste e che va rispettato a prescindere da chi è, da come è e da cosa fa perché ognuno deve essere rispettato in ogni caso? Forse questo li farebbe somigliare di più. Perché soffre il figlio disabile scimmiottato e deriso come soffre l’adolescenze escluso perché goffo, o il giovane meno bello o quello più timido, o come patisce il bullo che tutti giudicano e che nessuno aiuta e che finisce vittima della sua cattiveria che magari esplode da anni di disagio soffocato.

È il nostro mondo adulto che fallisce ogni volta. È il nostro mondo adulto che fa debiti per le vacanze e non affida responsabilità. Siamo noi genitori che regaliamo mille euro di telefono e non insegniamo a lavare i piatti o il pavimento. Siamo noi che chiediamo il permesso ai nostri figli e sempre meno il contrario. Abbiamo scaricato a loro e ai social l’obbligo educativo. Direi che potrebbe essere anche peggio di così. E credimi, cara mamma, dal basso della mia esperienza, molti di quelli che ti esprimono solidarietà pensano cose molto diverse che rimuovono per perbenismo ed etichetta.

Tuo figlio imparerà a difendersi più di ogni altro. Diletta è così forte da usare questa gente come barzelletta pur continuando a salutarla e a scherzare con lei. Ma non lo fa perché disabile o perché è più brava. Lo fa per istinto di sopravvivenza, lo stesso che ha condotto la mia poca ragione a riflettere sempre ogni volta che una coltellata ha tentato di raggiungere il centro del mio cuore. Oramai il mio cuore sa ridere e piangere senza più chiedersi il perché, però non ha voluto rinunciare a battere e a vivere. Voi farete altrettanto perché una marcia in più l’avete sia voi che noi: conosciamo la bellezza della vita al sorgere del nuovo giorno. Sappiamo che non è scontato. In bocca al lupo!

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