Tre figlie. La prima gravemente disabile. Per molti anni ho creduto alle belle parodie di normalità e inclusione che hanno retto fino alla prima vera autonomia della mia seconda figlia che oggi ha 14 anni. La prima affermazione che pulsa nella mia testa è che, seppure vero l’assunto che ogni figlio è a sé, esistono in generale delle tappe più o meno prescritte e prevedibili: infanzia, preadolescenza, adolescenza eccetera.

Esistono la scuola, lo sport, le vacanze, il tempo libero. Esistono i capricci, le mode e le tendenze. Esistono le delusioni, i tradimenti, le sofferenze vissuti tutta la vita e che contribuiscono alla costruzione della vera identità di ciascuno. Esistono le scelte, anche sbagliate, dette con forza o celate segretamente. Esistono gli amori e la riservatezza. Esistono il pudore e la sessualità. Ma anche la sensualità e il desiderio. Esistono i sogni, le mete e le ambizioni. Per ognuna di queste parole, chi legge riproduce una propria immagine che è unica ma assimilabile con tutte le altre.

Poi arriva la disabilità gravissima, mista, dalla nascita e la giostra dell’offerta inclusiva. Quindi prendiamo una gomma da cancellare, ricominciamo da capo. Iniziamo prima di tutto a volerci credere. Nei figli? No. Dobbiamo credere a coloro che influenzeranno ciò che la malattia lascia vivere rispetto i nostri figli. Fa male. È tremendo. Fa così tanto male che è preferibile non pensare, non ammettere, non vedere. È faticoso, è così tanto faticoso il mondo che ci assorbe e che ci spolpa e che ci schiaccia e che ci vuole solo come strumento accudente, muto e fallito che alla fine la condizione di stress e dolore può diventare mortale se associata alla fatica quotidiana di decenni di solitudine.

Oggi lancio il mio ennesimo grido liberatorio. Rivendico come sempre qualcosa e rivendico il mio rancore contro chi mi ha privato della mia funzione materna. Perché in troppi non mi avete detto che mia figlia era diversa, che gli altri bambini avevano paura di lei o addirittura qualche volta si impressionavano? Perché mi avete raccontato tutti così tante bugie e tutti mi avete tolto il diritto di urlare, di piangere e di ridere di chi si mostrava totalmente in errore, condizionava il nostro presente e il nostro futuro? Chi ha autorizzato queste tante sagome a prendere decisioni al nostro posto?

Qualcuno si è mai chiesto cosa tutto questo ha prodotto? Nel mio caso circa due anni fa mi sono resa conto che il mio essere genitore era influenzato dalla somma di esperienze e informazioni ricevute in precedenza. Principalmente nel mondo scolastico ma non solo. Cosa è accaduto? È accaduto che tutte le privazioni che io ho subito e che sono ricadute evidentemente su Diletta, hanno influenzato anche sua sorella minore. Questo non è un ostacolo indotto dalla società come entità astratta bensì da alcune persone che si occupano principalmente di inclusione. Molti di essi sono convinti dobbiamo avere medesimi risultati.

Attenzione a questa differenza: inclusione è riconoscere a tutti pari opportunità e non garantire a chiunque il pari risultato. In questo ultimo caso non si include e non si tutela ma si discrimina l’essere umano in quanto tale. Se non consento a un individuo di essere rispettato in quanto tale ho fallito come società a prescindere.

Alcuni esempi: dall’assemblea che lascia a scuola alunni con disabilità grave che non possono andare via da soli e che si trovano senza classi, nel migliore dei casi con professori di sostegno o educatori ai quali si dice grazie ma che in realtà vivono una condizione discriminata anche loro. Passando alle occupazioni che discriminano i più fragili coprendosi nella beffa del movimento per i deboli e le carenze. Alle feste mancate, ai non inviti, ai progetti per comunicare tra alunni, alle leggi che servono per obbligare frequenze e opportunità. Obbligo. Dove esiste la costrizione e non la motivazione, il fallimento è certo e anche ovvio. Diletta ha avuto tantissime ottime persone ma anche alcune pessime occasioni di scontro con l’incompetenza, con l’inaffidabilità, con la falsità e con l’ipocrisia.

Io sono una madre diversa. Non è vero che siamo tutte madri. Ogni giorno pesa la differenza di essere madre di una figlia disabile e di due non disabili. Mentre le sorelle minori hanno molti punti di contatto in comune seppure diverse completamente le due personalità, con Diletta il pianeta è alienato. E sapete cosa mi fa arrabbiare? Che tutto questo le madri non lo dicono per non sentirsi ancora più in colpa. Perché se si lamentano di dover accudire un figlio di 20 anni per 24 ore ogni giorno ricevono una finta comprensione da parte di chi non riesce neanche a immaginare cosa voglia dire. E io oggi invece voglio scriverlo per un atto di solidarietà verso quelle mamme e quei papà che lo pensano sempre ma non osano dirlo e pensano anche di essere pessimi genitori stanchi. Siamo persone per bene che cercano di condurre una vita che contenga anche gioia, serenità e pace. Nonostante il mondo che tentiamo di lasciare fuori.

Eh no, basta! Questi fratelli e sorelle cosiddetti siblings hanno diritto a vivere una condizione di realtà non alterata dalla Asl, dalla scuola, dal servizio sociale o da chicchessia. Figli di un Dio minore che devono crescere in fretta, che devono essere sensibili e profondi o sentirsi in colpa a vita, se sentiranno il desiderio di fuggire lontano da tutto questo. Figli di serie B che sono spesso vittime di bullismo, incompresi, mal sopportati nei loro silenzi, nei loro principi, nei loro rigidi saldi valori. Ma che ne sanno gli altri di cosa hanno vissuto per mano di quei signori grandi e colti che hanno fatto strage della loro infanzia vendendo favole armate di arida e feroce ipocrisia?

Tutto da rifare. E la gomma cancellerà tutto, forse troppo. E si corre il rischio di fare un male irreversibile alla società, al volontariato, alla solidarietà, alla comunità. Ma questo è poco social ormai e la meta iniziale era chiudere un progetto inclusivo. Se poi il progetto è rimasto lì senza cornice, come un puzzle di cartone che nessuno noterà, non fa niente. Ci sarà chi con un file e un “copia e incolla” lo chiamerà “buona prassi” e lo clonerà tantissime altre volte. Basta osservare le famiglie con disabilità per capire che tra le tante battaglie ne esiste una, apparentemente meno acerrima ma cruenta: ogni figlio ha il diritto di essere educato, istruito e mantenuto tenendo conto delle inclinazioni personali. Anche se ha un fratello o una sorella con disabilità.

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