L’incontro di Singapore si è concluso con sorrisi, strette di mano e la promessa di “cambiamenti significativi” nei rapporti tra Stati Uniti e Corea del Nord. Washington annuncia la sospensione delle esercitazioni militari con la Corea del Sud nella penisola coreana. La concessione americana è nuova e importante: diverse volte nel passato gli Stati Uniti avevano rifiutato di farla, spiegando che le esercitazioni sono un elemento fondamentale dell’alleanza con Seul e un deterrente potente contro le ambizioni della Corea del Nord.

Uno dei risultati positivi dell’incontro all’Hotel Cappella di Singapore è dunque sicuramente il tono: per la prima volta due presidenti in carica di Usa e Corea del Nord si incontrano e si scambiano assicurazioni sul futuro. Promettono di lavorare per “costruire una pace stabile e durevole”. Gli Stati Uniti offrono garanzie sull’integrità territoriale e la sicurezza della Corea del Nord, che da parte sua risponde promettendo di “lavorare verso la de-nuclearizzazione”. I due Paesi promettono anche di restituirsi prigionieri di guerra e “missing-in-action” che risalgono all’antica Guerra di Corea.

Un risultato positivo, dunque? Forse, ma comunque soggetto a una serie di variabili al momento difficili da valutare. Prima di tutto, almeno tre presidenti americani del recente passato hanno concluso intese per la de-nuclearizzazione della Corea del Nord. Ogni volta, alle promesse non sono seguiti i fatti e i programmi nucleari di Pyongyang sono andati avanti. In questa occasione, rispetto al passato, c’è stata comunque una novità. L’approccio non è stato dal basso verso l’alto, ma il suo contrario. I negoziati sono partiti con un incontro tra i due leader, nella speranza che questi possano dare la spinta necessaria e che la diplomazia futura definisca dettagli e proposte concrete. Nell’approccio ci sono però diversi elementi di rischio: anzitutto la personalità dei due leader. Sia Trump sia Kim hanno spesso dimostrato tratti di forte imprevedibilità e la tendenza a cambiare improvvisamente il corso di scelte che sembravano ampiamente definite. Anche in quest’occasione, quindi, la sorte dei futuri negoziati resta appesa alle doti di leadership volubile dei due presidenti.

C’è poi un altro aspetto fondamentale. In ogni incontro di questo tipo la simbologia vale almeno quanto la sostanza. E qui la simbologia – il teatro, per dirla con un altro termine – è stata forte e controllata nei minimi dettagli. Teatrale è stata la coreografia delle entrate e uscite di Trump e Kim di fronte alle migliaia di giornalisti e fotografi: prima la stretta di mano, poi la battuta del presidente Usa sulla nuova e “magnifica relazione”, quindi il primo meeting dei due alla presenza dei soli interpreti, la nuova uscita e i nuovi sorrisi a beneficio della stampa, un altro meeting allargato con i rispettivi top advisors, quindi il pranzo di lavoro e i nuovi sorrisi e le strette di mano e le promesse sul futuro. Non c’è forse incontro della recente diplomazia che sia stato così attentamente preparato e abbia avuto, fin dall’inizio, un finale già scritto. E del resto, difficile che due personaggi come Trump e Kim – segnati da un culto quasi paranoico della propria personalità – si muovano senza la certezza del successo.

Non a caso diverse volte in queste settimane ambienti della Casa Bianca hanno richiamato, come parallelo storico più vicino, il viaggio di Richard Nixon in Cina nel 1972 e l’incontro con Mao Zedong. In realtà, la situazione oggi è molto diversa da allora. L’incontro tra Nixon e Mao iniziò quando gran parte del lavoro preparatorio era già stato fatto dalle diplomazie. Il viaggio del presidente Usa servì a ratificare qualcosa che era stato ampiamente fissato. Soprattutto, l’obiettivo del 1972 era ben più modesto di quello attuale. Si trattava, in quei mesi, di riavvicinare due Paesi divisi e lontani. Si trattava di stabilire un inizio di relazioni diplomatiche che mancavano. L’obiettivo oggi è ben più ambizioso – e forse a senso unico. Si tratta infatti di convincere la Corea del Nord a rinunciare ai suoi piani nucleari. Si chiede a Kim di rinunciare a ciò che gli ha permesso di mantenere il suo potere e la rilevanza sul palcoscenico del mondo. In altre parole, gli si chiede di rinunciare alla sua arma di ricatto.

Ecco perché l’incontro, che sicuramente ha fatto storia, può benissimo dissolversi e diventare irrilevante nel prosieguo della Storia. Per il momento, a guadagnarci sono sicuramente le sorti politiche dei due firmatari. Trump può continuare a proporsi come il deal-maker capace di rilanciare la potenza americana nel mondo. Kim spera nella cancellazione delle sanzioni e, non avendo ancora quarant’anni, si prepara a un lungo periodo di governo. Solo il futuro può però dire quanto gli effetti dell’intesa si rifletteranno sul mondo – e non solo sui due protagonisti della commedia attentamente preparata e recitata a Singapore.

TRUMP POWER

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