L’annuncio – dato da Peter Praet, membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea – che dal prossimo anno la Bce cesserà di acquistare titoli di Stato dei singoli Paesi membri ha subito messo in allarme molti governi dell’Unione a causa delle tensioni che questo provvedimento (peraltro inevitabile presto o tardi) creerà.

Il QE (Quantitative Easing) è una misura di sostegno monetario all’economia nazionale adottato per la prima volta in gran quantità dagli Stati Uniti nel 2008 come difesa alla forte carenza di liquidità generata dalla Grande recessione iniziata nel 2007. Mediante la tecnica del QE la Federal Reserve americana acquistava (al ritmo di 50 miliardi di dollari al mese) titoli di Stato e obbligazioni industriali, togliendo quindi agli enti emittenti l’affanno di doverli collocare in un mercato che si trovava in quel periodo fortemente appesantito dalla crisi.

Il QE europeo si differenzia da quello americano soprattutto per il fatto che gli acquisti Bce riguardano solo titoli di Stato emessi dai paesi aderenti mentre la Fed acquistava anche titoli di imprese. In questo modo gli acquisti della Fed risultavano più efficaci in termini di liquidità diffusa sul territorio. La Fed poteva inoltre usare contemporaneamente anche la leva monetaria (svalutazione del dollaro) al fine di dare sostegno all’occupazione che è tra l’altro proprio una delle sue finalità costitutive, cosa che la Bce invece non ha.

Dato che in questo periodo si parla diffusamente della necessità di completare la costruzione di una Unione europea che non sia solo monetaria e dato che al tempo della nascita dell’euro non si è voluto né risolvere né scadenziare provvedimenti che andassero a risolvere questo gap iniziale, diventa necessario affrontare ora con coraggio e lungimiranza tutti i problemi sul tavolo tra i quali quello di dare alla Banca centrale completa operatività.

Tutti sanno bene l’ostacolo principale al raggiungimento di questo obbiettivo è stato fin dall’inizio l’elevato indebitamento che alcuni Stati avevano nel confronto con gli altri. Il requisito di “buona amministrazione” richiesto per far parte dell’Unione sarebbe certamente plausibile se fosse da parte di tutti accompagnato da ogni sforzo possibile per superare il gap. Invece non solo evidenzia a questo punto in molti casi la “spocchia” di chi vuol fare il primo della classe, ma nasconde addirittura una propensione a voler primeggiare in competizioni ad handicap impostate al contrario: cioè si fa partire avvantaggiati i più forti anziché i più deboli e si mantiene l’handicap per tutto il percorso. Un assurdo incredibile per chi volesse veramente costruire l’Unione profittando magari anche dei recenti cambiamenti politici e istituzionali in parte avvenuti, altri in corso di perfezionamento.

Gli ideali di una Unione dovevano essere quelli di chi, pur tra difficoltà consistenti, doveva tendere fin da subito a unire invece che mettere limiti, vincoli, paletti, per distinguere i “bravi” dai “cattivi”. Adesso sappiamo che non è possibile pretendere di fare unioni di questo genere ponendo pesantissimi vincoli che, oltre a essere molto difficoltosi da raggiungere per chi parte svantaggiato, si trova addirittura a competere con chi da quello svantaggio ne trova evidenti vantaggi. L’errore c’era già in partenza ed è ora di superarlo. Si può farlo in diversi modi. Uno (ottimo) è consigliato dal Nobel Joseph Stiglitz che consiglia un Europa con due euro (quello “sud” debole e quello nord “forte” per dare il tempo alle diverse economie di avvicinarsi), ma è ancora una Europa che vuole mantenere le distanze tra “ricchi” e “poveri”.

Bisogna trovare il coraggio di eliminare tutte queste divisioni e mettersi subito insieme, senza se e senza ma. Occorre recuperare l’entusiasmo e il coraggio per riunirsi ed eliminare gli “spigoli” più fastidiosi di questa Unione traballante. Proprio come hanno fatto Matteo Salvini e Luigi Di Maio per formare il governo d’Italia. Entrambi hanno rinunciato a molto, ma hanno raggiunto un traguardo che sembrava impossibile. Solo così, costruendo una vera Unione, si potranno eliminare gli egoismi dei forti e le invidie dei deboli. L’Europa non può più aspettare e non può dividersi più di quello che è già. Il mondo corre, noi (Europa) siamo quasi fermi da anni.

Per cominciare si potrebbe partire proprio dalla riforma della Banca Centrale consentendole di intervenire a sostegno delle imprese e contro la disoccupazione con un QE mirato a questo scopo invece che a quello più generale di sostenere la liquidità monetaria, ora meno necessario ma di cui hanno beneficiato molto di più le banche che le aziende (e per niente i lavoratori). Si potrebbe fare agevolmente con emissioni speciali di titoli (cinquantennali?) degli Stati più colpiti dalla crisi dando così ampio tempo per recuperare. Non sto inventando niente, il Giappone già lo fa.

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