di Luca Casabene

“In molti di noi esiste una cultura monocolore, le espansioni mentali si limitano con la quotidianità e il luogo da cui proveniamo”

Il mio nome è Luca Casabene. Nato nel marzo del 1981 a Gela, profondo sud della Sicilia, vissuto ovunque nel mondo e adesso in pianta stabile in Olanda.

Ho imparato ad apprezzare le fortune che la vita mi ha regalato, sono nato nella città che fu definita “il fondo dell’inferno” da Giorgio Bocca: niente lavoro, case di soli mattoni, monnezza per le strade, mafia, pallottole e sangue, morti ammazzati durante una guerra in cui lo Stato non era presente a proteggerci. La mia fortuna, nonostante io venissi da Gela, è stata quella di avere una famiglia perbene, un padre e una madre che, nonostante la mia città fosse pervasa dalle violenze e da gente mafiosa, mantenevano intatta l’onestà morale.

Era il 1992, avevo 11 anni. Tornavo da scuola e vidi mio padre piangere per la prima volta. Quel giorno ho conosciuto Giovanni Falcone: ne parlavano tutte le Tv, Giovanni Falcone era morto e con lui la moglie e la scorta. Giovanni Falcone era la nostra ultima speranza. Ucciso dallo Stato, abbandonato al suo destino.

Avevo 18 anni e la scuola chiudeva per le vacanze estive, senza conoscere nessuna lingua straniera e con quattro soldi in tasca andai a lavorare per qualche mese a Koln, in Germania. Ad agosto tornai in Sicilia, pronto a completare gli studi, prendere il diploma e avventurarmi nel futuro pieno di incognite.

Io come molti altri amici dell’epoca, costretti ad andare via da una terra senza opportunità, pronto a lasciare la mia famiglia. Non avevo altra scelta che prendere il treno (lo chiamavamo la “feccia del sud”) e partire lasciandomi la Sicilia alle spalle. Il mio primo lavoro fuori dai confini europei fu in Brasile: era il 2007, avevo 26 anni. Di fronte a me Copacabana, alle spalle il Corcovado. Da allora, ho vissuto e lavorato un poco ovunque.

Sono stato in India, Egitto, Oman, Qatar, Emirati Arabi, Thailandia, Kazakhstan, Myanmar, Cina, Singapore, Malesia, Cuba, Australia, Stati Uniti, Perù, Giappone, Corea del Sud, Bangladesh, Angola, Russia, Bielorussia e qualche altro Paese che faccio fatica a ricordare.

Sono sempre stato accolto benissimo, introdotto alle usanze locali, al cibo e agli odori. Ho incontrato parecchia gente, per la maggior parte povera, costretta a vivere nella miseria. In India come in Bangladesh, famiglie intere con bambini piccoli lavoravano o mendicavano per avere un piatto di riso. Io confrontavo le loro vite con quelle degli italiani: mentre da noi la gente spendeva soldi per comprare una rivista inutile oppure le scarpe Nike, in Bangladesh c’era un bambino che non andava a scuola perché doveva lavorare. Costretto dalla fame a rinunciare ad un futuro migliore.

Io sono nato nel Sud Italia e pensavo di essere uno sfigato, solo allora – viaggiando – imparai che nonostante tutto, esisteva di peggio.

Sono dell’idea che al mondo le opportunità bisogna darle a tutti. Nessuno vuole lasciare la propria terra, abbandonare le proprie famiglie, la maggior parte va via per avere una vita migliore. Io sono nato in Sicilia, terra di mafia e di eroi che l’hanno combattuta, terra abbandonata ad un destino crudele. La desertificazione della speranza che, come una metastasi, ha coinvolto tutto il Sud Italia e negli ultimi anni anche l’intera nazione. Il Sud Europa che pian piano prende le forme del Sud del mondo.

Di chi sono le colpe? Solamente nostre.

Se in Italia eliminassimo le mafie, le disuguaglianze (sociali, sessuali, razziali), la corruzione e invece che parlare di immigrazione come l’unico dei nostri mali ci sforzassimo di migliorare questo Paese creando un modello di vita esemplare, dove integrazione e onestà siano le basi fondamentali della nostra Repubblica, beh allora potremmo tornare a vivere meglio.

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