Il governo realizzerà dei Centri per i rimpatri “chiusi affinché la gente non vada a spasso per le città”. Lo ha detto il ministro dell’Interno Matteo Salvini ai cronisti in Transatlantico, sottolineando che “la gente non vuole avere dei punti dove uno esce alle 8 della mattina, rientra alle 10 la sera e durante il giorno non si sa cosa fa e fa casino”, ha detto il capo del Viminale riferendosi presumibilmente ai migranti.

A quale “gente” si riferisce il ministro? Vanno realizzati Centri per i rimpatri “che permettano di espellere chi va espulso” e su questo “tutti gli amministratori della Lega non chiedono altro”. Centri “chiusi“, dunque, “che servono per ospitare momentaneamente chi deve tornare a casa sua”. Ma non sono prigioni a cielo aperto? “Sono dei Centri per i rimpatri – ha risposto Salvini – e se qualcuno è trovato in possesso di documenti falsi o senza documenti, prima di espellerlo dobbiamo capire chi è e da dove viene”.

Centri di questo tipo – destinati non ai richiedenti asilo, ma agli irregolari destinatari di provvedimento di espulsione – sono già previsti dal decreto Minniti dell’aprile 2017: non si chiamano più Cie (Centri di identificazione e di espulsione) ma Cpr, “Centri di permanenza per il rimpatrio“, secondo il provvedimento voluto dall’ex capo del Viminale doveva essercene uno in ogni Regione da 150 posti al massimo ma fino a oggi quelli aperti sono solo 6 (Torino, Roma, Bari, Brindisi, Caltanissetta e Potenza) per poche centinaia di posti rispetto ai complessivi 1.600 previsti a regime. Altre strutture sono state individuate (da Iglesias a Bologna, a Santa Maria Capua Vetere), ma non avviate. Quindi un’ipotesi è che l’obiettivo del nuovo ministro possa essere aprire le restanti 14 strutture. Il problema a cui Salvini si trova di fronte è l’opposizione di molti governatori e di molti sindaci. “Ho parlato con tutti i governatori leghisti – specifica il ministro – e non vedono l’ora di avere centri per i rimpatri chiusi”.

Salvini vorrebbe, inoltre, modificare le procedure: “Due o tre mesi non sono sufficienti” per identificare i migranti trattenuti nei Centri per i rimpatri che devono essere espulsi e, dunque, “serve più tempo”, ha risposto il ministro a chi gli chiedeva se il governo intende riportare a 18 mesi il tempo di permanenza nei Centri. “E’ chiaro ed evidente – ha aggiunto – che ci sono dei paesi africani con grossi problemi anagrafici”. Il problema è che per rimandare a casa gli irregolari e superare i poco più di 6mila i rimpatri in media ogni anno servono accordi con i Paesi di provenienza: l’Italia ne ha siglati solo con Tunisia, Egitto, Nigeria, Sudan e Gambia.

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