È sempre emozionante per chi fa questo mestiere festeggiare la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa (World Press Freedom Day). È un modo per ricordare quanto sia prezioso il mestiere che facciamo, al di là delle critiche, spesso giuste, sull’abbassamento della qualità degli articoli, l’assenza diffusa di spirito critico, la scarsa indipendenza. Normalmente in questa giornata si ricordano soprattutto i reporter, spesso freelance, uccisi dalle guerre oppure da dittature ancora ben salde al potere. Numeri purtroppo drammaticamente in crescita. L’ultimo, sconvolgente, caso è l’attentato avvenuto in Afghanistan, dove sono rimasti uccisi 9 giornalisti accorsi proprio sul luogo di un attentato per raccontare l’accaduto e lì uccisi. Una vicenda incredibile, che avrebbe dovuto finire, parlando di stampa, sulle prima pagine dei giornali, ben sopra le notizie su un governo che non riesce a formarsi.

Ciò di cui però raramente si parla in questa giornata, perché è un tema di cui nessuno scrive, sono gli ostacoli e le avversità che chi fa il nostro mestiere oggi si trova di fronte. Per capirle bisogna cambiare l’immaginario che la maggior parte della gente ha di di un giornalista. E cioè quello di una persona che lavora, come dipendente, in una redazione e che viene inviata, sempre come dipendente, all’estero o dove occorra raccontare la realtà. Oggi la maggior parte dei giornalisti, dicono i numeri, è freelance, il che significa che non lavora in una redazione ma altrove. Che deve farsi carico di tutte le spese che questo mestiere comunque comporta (basti pensare agli spostamenti) e rispondere direttamente di ciò che scrive, senza mediazioni o tutele. Una persona di questo tipo sarà molto più fragile di fronte a una querela, che oggi purtroppo è facile ricevere grazie a una legge, fatta da politici miopi e meschini, totalmente sbilanciata a favore di chi fa intenta la causa. Se infatti un potente o un ricco decide che un certo articolo gli dà fastidio, fosse anche per una parola, può querelare il giornalista anche per milioni di euro senza alcuna conseguenza, come invece accade in altri paesi se la querela è pretestuosa, cioè non fondata. Ciò significa mettere in ginocchio chi fa questo mestiere, che sarà costretto a prendersi un avvocato ed entrare in un girone da incubo, nel quale rischia di perdere i suoi pochi beni, come la casa di proprietà o le sue scarse entrate. Mentre nel caso vincesse, avrebbe solo il rimborso delle spese giudiziarie. Un’assurdità.

Di questo tema si occupa in Italia Ossigeno per l’informazione, un Osservatorio sui cronisti minacciati. Ma si tratta solo di una piccola parte di ciò che rende oggi quasi impossibile fare il giornalista in Italia. L’altro aspetto è infatti la povertà, ovvero lo scarsissimo compenso che si riceve oggi per questo lavoro, tra contratti atipici e partita Iva e che non consente certamente una vita dignitosa. Le cause? Sicuramente una crisi profonda in cui versa questo settore editoriale, che non consente ai giornali grandi margini di manovra. Ma anche l’iniquità nella distribuzione delle tutele, la totale indifferenza dei sindacati degli stessi giornalisti che hanno mai difeso i freelance e ovviamente una legislazione sul lavoro che ormai consente ogni deregulation.

6 euro, 9 euro, 10 euro a pezzo: queste sono alcune delle cifre date ai giornalisti oggi per un articolo. Ma sono pochi anche 50 o 70, perché da quella cifra bisogna scalare i contributi, l’assistenza sanitaria, le tasse, la formazione obbligatoria che non sempre è gratuita, la strumentazione. I giornalisti sono forse una delle poche categorie rimaste a non avere un salario minimo, ovvero un giusto compenso, anche se sul sito dell’Ordine dei Giornalisti esiste una tabella che ricorda quale dovrebbero essere le cifre giuste e dignitose per un articolo o un video. Ma nessuno la rispetta.

Qualche dato: i giornalisti autonomi sono oggi il 65,5% dei lavoratori, 33.188 contro 17.486 lavoratori dipendenti, una percentuale di precariato inimmaginabile in qualsiasi altro settore. 8 su 10 di questi giornalisti guadagnano meno di 10.000 euro l’anno, sono cioè sotto la soglia di povertà. Il 52,6% si ferma sotto i 5.000 euro, il 34% lavora gratis. Le prime pensioni dei giornalisti autonomi erogate dall’Inpgi 2 ammontano a 500 o 1000 euro all’anno. Purtroppo i lettori o i commentatori non conoscono queste condizioni, e continuano ad additare la classe giornalistica come “casta” senza sapere delle condizioni tragiche in cui versa. Condizioni che a volte – non sempre – giustificano articoli mal scritti, perché fare un’inchiesta approfondita e seria per poche decine di euro è letteralmente impossibile. Tutto questo, per tornare al tema della giornata, sta minando la liberà e la qualità della stampa in maniera altrettanto grave di quanto non faccia una minaccia più diretta e manifesta come quella di un potere illiberale e avverso alla stampa. Anche i nostri governi, che non hanno fatto e non fanno leggi a protezione dei giornalisti e a sostegno delle loro condizioni di vita, sono dunque responsabili di aver impoverito la forza di una stampa libera e, dunque, la qualità della nostra democrazia. Un fatto gravissimo, né più né meno di una legge sul lavoro sbagliata o di una iniqua norma sui vitalizi.

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