I repubblicani Usa sanno da mesi che il 2018 sarà un anno elettorale difficile. Il Russiagate, le polemiche, la popolarità del presidente in picchiata – soltanto il 41% degli americani approva il suo operato, secondo un sondaggio di Morning Consult – rendono la sfida di midterm, il prossimo novembre, particolarmente complicata. “Sappiamo di avere il vento contro – ha detto il capogruppo repubblicano al Senato Mitch McConnell -. Bisognerà capire se sarà di categoria 3, 4 o 5”. La guerra dei dazi ingaggiata con la Cina sembra però aumentare i rischi e promette una tempesta particolarmente violenta.

Non sono infatti soltanto le possibili ricadute economiche dei nuovi dazi a preoccupare. Quelle, sicuramente, ci sono. Un rapporto della Dallas Fed mostra che, se implementate fino in fondo, le tariffe doganali, e la reazione cinese, potrebbero ridurre il PIL americano dello 0,25%. Una guerra commerciale totale con Europa e Cina sarebbe un disastro: meno 3,5% del PIL. E’ proprio per calmare dubbi e preoccupazioni che il segretario al commercio, Wilbur Ross, è intervenuto, spiegando che “non stiamo entrando nella Terza guerra mondiale” e che “le misure non sono state ancora applicate, sono solo proposte, siamo aperti ai suggerimenti”. Anche Donald Trump è intervenuto, cercando di rassicurare, ma con il suo stile un po’ più sbrigativo: “Quando hai un deficit di 500 miliardi, non puoi comunque perdere!”

Oltre l’economia, c’è però la politica. In particolare, ci sono le elezioni di midterm, il prossimo novembre. Il GOP, come detto, è in sofferenza. Alla Camera potrebbe perdere la maggioranza. Al Senato c’è più di un seggio a rischio. A contare è ovviamente lo spirito di rivalsa di molti democratici, che dovrebbero accorrere alle urne per placare rabbia e umiliazioni di due anni di presidenza Trump. Ma conta anche lo stato di continua crisi che circonda la Casa Bianca (a proposito: a luglio, in piena campagna elettorale, lo special counsel Robert Mueller dovrebbe rendere pubblico il rapporto sull’intralcio alla giustizia da parte di Trump). E conta la guerra dei dazi con la Cina. La risposta di Pechino alle tariffe americane non è stata infatti soltanto economica; è stata anche politica e ha colpito dove gli interessi elettorali di Trump e dei repubblicani sono più forti.

Se infatti Trump ha alzato i dazi su acciaio e alluminio, i cinesi hanno colpito soia, mais, grano. Questo significa toccare il cuore dell’agricoltura americana, in particolare colpire un’area che dal centro della California arriva alle pianure del centro, al Missouri e all’Indiana fino al Nevada. Prendiamo per esempio la soia, la cui produzione è concentrata nel Midwest. Alcuni Stati – Minnesota, Iowa, Missouri e illinois – producono circa la metà di tutta la soia Usa. Più del 60% di questa soia è spedita in Cina (o, almeno, lo era). Associated Press ha provato a combinare i dati elettorali con quelli dell’Agricoltural Department. Il risultato è illuminante. Alle presidenziali 2016, Trump ha vinto nell’89% delle contee che producono ed esportano soia. Quest’America, rurale e lontana dai grandi centri urbani, ha dato fiducia in modo quasi plebiscitario al candidato repubblicano.

Ecco dunque perché la risposta cinese ai dazi di Trump, oltre a essere economica, è anche fortemente politica. I cinesi prendono di mira gli elettori del presidente. Cercano di intaccare la fiducia nelle sue riforme economiche. Sperano di diffondere malcontento e dubbi sulle politiche dell’America First. A farne le spese, però, nell’immediato, potrebbe essere non il presidente (la campagna presidenziale è ancora lontana) ma proprio quei repubblicani che il prossimo novembre pensavano di far man bassa di voti nelle contee rurali conquistate nel 2016. Per questo il tentativo dei repubblicani di prendere le distanze dalla guerra commerciale è già iniziato.

Cathy McMorris Rodgers, per sette volte deputata dello stato di Washington, ha chiesto al presidente di “cambiar rotta sulle tariffe”. Chuck Grassley, senatore dell’Iowa, altra zona colpita, ha spiegato che da mesi metteva in guardia Trump sulle rappresaglie cinesi “ed è esattamente quello che è successo”. Dalla Casa Bianca rispondono che “un po’ di problemi sul breve periodo diventeranno un successo clamoroso sul lungo”. In realtà, il tentativo di dar fiato a una componente essenziale dell’elettorato di Trump, i lavoratori dell’industria, ha finito per colpire un’altra sua componente essenziale: chi vive e lavora nelle campagne. E ora sono i repubblicani a rischiare di farne le spese.

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