Bianco Vincenzo, Sebastiano “Nello” Musumeci, Crocetta Rosario, Epifani Ettore Guglielmo, Ercolano Giuseppe, Meloni Giorgia e Stancanelli Raffaele hanno avuto l’onore di essere ricevuti da Ciancio Mario per scambiarsi con Lui profonde riflessioni sul destino della città, della Sicilia e del Paese.

Nel loro complesso, si può dire, tutti costoro costituivano una classe dirigente. Con diverse affinità e competenze, ma ognuno tutto sommato indispensabile al buon funzionamento del Sistema. “La forza della mafia sta fuori della mafia”, dice don Ciotti. “La mafia sta ai vertici della Nazione”, dice Giuseppe Fava. Queste due frasi, insieme, spiegano tutto.

Né il potere mafioso né il rapimento delle fabbriche hanno avuto alcun peso nella recente campagna elettorale: tutti i principali partiti hanno assolutamente ignorato questi temi, che sono quelli hanno realmente trasformato l’Italia. Emigrazione dei giovani, invecchiamento generale, crisi morale vengono tutti di là, e si alimentano a vicenda.

L’affaire Ciancio, apparentemente locale ma in realtà generale, è simbolo di questo male della Nazione, complicemente rimosso da cittadini e istituzioni. Ci sono voluti quarant’anni, qui, per giungere a questo processo, e molto coraggio di nuovi giudici e di giornalisti vecchi.

In meno di un anno, a Catania, tre delle più importanti realtà anti-mafiose hanno subito attentati e intimidazioni. Dalle minacce a MeridioNews all’attentato contro I Briganti a Librino, passando per le minacce di morte ai Siciliani. Il clima è questo. Per noi dura ormai da trent’anni, e non ci ha mai rallentato, né ha intimorito i nostri amici in ogni parte d’Italia.

Ma c’è stata, a Catania, una vera e propria pulizia etnica culturale: decine di giovani giornalisti, cresciuti una generazione dopo l’altra nelle redazioni dei Siciliani, sono stati cacciati dalla città, o silenziati. E questo è tutto. Noi continueremo, naturalmente, per il bene comune. Ai giovani che vorranno seguirci lasciamo una cosa sola: “Il coraggio di lottare”.

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