La società di analisi dati Cambridge Analytica è accusata di aver rubato i profili Facebook di 50 milioni di utenti e di aver usato queste informazioni riservate per influenzare i risultati delle elezioni presidenziali americane, ma anche della Brexit. Di proprietà del miliardario Robert Mercer, all’epoca dei fatti aveva tra i vertici anche Steve Bannon, consigliere personale e stratega della campagna elettorale di Donald Trump. A due anni di distanza, arriva la decisione di Facebook, basta sull’accusa di aver incamerato un’enorme massa di informazioni personali senza autorizzazione già dagli inizi del 2014 e di non averli poi distrutti. Da tempo la Cambridge Analytics era nel mirino di Robert Mueller, il procuratore speciale per il Russiagate: come nella serie tv House of Cards, Trump avrebbe infatti sfruttato i dati raccolti da questa società per progettare un programma software che individuasse “i demoni segreti” degli utenti da raggiungere con messaggi personalizzati per influenzare le loro scelte.

Cambridge Analytica ha avuto accesso ai dati degli elettori americani tramite l’accademico russo-americano Aleksandr Kogan, dal quale li ha acquistati. Kogan, da parte sua, aveva chiesto il permesso a Facebook si raccogliere informazioni solo a scopo di studio. Il tutto contravvenendo alle politiche del social network, che vietano la vendita o l’uso dei dati personali per pubblicità. La scoperta della fuga di informazioni – la maggiore nella storia di Facebook – riaccende i riflettori anche sul ruolo del social media nelle elezioni, esponendolo a nuove critiche. Facebook ha inizialmente cercato di minimizzare la portata dell’incidente. Poi ha ammesso: “E’ stata una frode”, come ha riferito il legale del gruppo al New York Times.

Tutto è iniziato nel 2014, quando la società si è assicurata un finanziamento da 15 milioni di dollari dal finanziatore repubblicano Robert Mercer e ha attirato l’attenzione di Steve Bannon con la promessa di strumenti per identificare la personalità degli elettori americani e influenzare il loro comportamento. L’unico problema era la mancanza di dati su cui lavorare. Una volta recuperati i database, per la Cambridge Analytica non ci sono stati più freni.

Alexander Nix, l’amministratore delegato della società, ha prima smentito di aver ottenuto dati di Facebook, poi si è corretto e ha scaricato la responsabilità su Kogan. Su Nix l’attenzione è già alta da tempo: gli investigatori del Congresso americano lo hanno sentito sul suo ruolo nella campagna di Trump. Mueller ha chiesto la consegna delle email dei dipendenti di Cambridge Analytica che hanno lavorato per Trump. E il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, nei mesi scorsi ha affermato di essere stato contatto da Nix durante la campagna elettorale nella speranza di ottenere email private di Hillary Clinton.

Sono stati sospesi anche profili dell’azienda madre Strategic Communication Laboratories, così come quelli dello psicologo dell’università di Cambridge Kogan e del capo di Eunoia Technologies, Christopher Wylie. Inoltre, ha reso noto Facebook, Kogan ha anche impropriamente condiviso le informazioni con Wylie. L’app di Kogan thisisyourdigitallife – a sua volta accusato di avere sottratto il metodo ai ricercatori di Cambridge – proponeva un test di personalità predittivo, descrivendosi sul social network come “una app di ricerca usata dagli psicologi”. Circa 270mila persone hanno scaricato la app, consentendo a Kogan di accedere a informazioni come la città indicata sui loro profili, o contenuti a cui avevano reagito. Non solo, l’app raccoglieva anche informazioni sugli amici di questi utenti. Cambridge Analytica era già stata messa sotto inchiesta anche in Gran Bretagna per il ruolo nel referendum sulla Brexit a favore dell’uscita dall’Unione Europea. “Usiamo dati per cambiare il comportamento dell’audience”, si legge sulla homepage del sito.

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