C’è anche Yevgheni Prigozhin, noto come lo “chef di Putin“, fra i 13 cittadini russi e le tre entità legate a Mosca incriminati dal procuratore speciale per il Russiagate Robert Mueller, che indaga sulle presunte interferenza nel processo elettorale e collusione dello staff di Trump con Mosca. A riferirlo sono i media statunitensi, secondo cui, in particolare, a Prigozhin viene imputato di aver finanziato la società tecnologica russa Internet Research Agency (Ira) di San Pietroburgo, accusata di aver usato i social media per diffondere fake news nelle elezioni presidenziali americane del 2016. Questa è la prima volta dall’inizio dell’inchiesta che vengono formalizzate accuse ben precise ad ambienti legati a Mosca.

L’atto d’incriminazione emesso nei suoi confronti afferma che, alleato con il presidente russo Vladimir Putin, avrebbe finanziato il gruppo che aveva “per obiettivo strategico seminare zizzania nel sistema politico americano” e che, nella prima metà del 2016, sostenevano la campagna del repubblicano Donald Trump e minavano quella di Hillary Clinton. Dopo aver scontato nove anni di carcere per frode e rapina negli anni Ottanta, Prigozhin si è lanciato nel settore del catering e della ristorazione fino ad organizzare le feste di compleanno di Putin e le cene dei suoi ospiti, da George W. Bush a Jaques Chirac. In seguito ha vinto contratti redditizi per le scuole e le forze armate russe.

Dal canto suo, lui si è detto “per nulla contrariato dal figurare nella lista” di queste persone accusate, parlando all’agenzia di stato russa Ria Novosti, ripreso da Afp. Soprannominato “cuoco” di Putin dai media russi, dirige una compagnia che ha lavorato per il Cremlino e che è stata già oggetto di sanzioni americane per il suo sostegno finanziario all’occupazione militare russa dell’Ucraina. “Se gli americani vogliono un diavolo, lasciateli fare”, ha aggiunto. Il suo nome è stato anche citato dai media in relazione a una “fabbrica di troll” a San Pietroburgo, che avrebbe lavorato per aumentare la propaganda pro-Cremlino su internet. Ma Prighozin nega ogni addebito.

È ancora sconosciuta invece l’identità degli altri soggetti russi individuati dagli investigatori statunitensi. Al momento i media americani parlano solo di sei russi che avrebbero finto di essere americani, creato false identità, gestito pagine di social network e gruppi con cui attrarre un pubblico americano. Questi “hanno coscientemente e intenzionalmente cospirato per truffare gli Stati Uniti con il proposito di interferire con i processi politici ed elettorali americani”, si legge nel provvedimento di Mueller. In particolare, pubblicarono “informazioni dispregiative su un numero di candidati” ed entro alla metà del 2016 sostennero Trump denigrando invece la democratica sfidante Hillary Clinton. Comprarono pubblicità e comunicarono con persone “inconsapevoli” legate alla campagna del magnate e di altri, per coordinare le attività politiche. Organizzarono comizi pro-Trump e produssero materiale per danneggiare Clinton e i rivali repubblicani di Trump, Ted Cruz e Marco Rubio. Avrebbero appoggiato anche la candidata dei verdi Jill Stein e il democratico Bernie Sanders.

“Gli incriminati avrebbero condotto quella che chiamavano guerra d’informazione contro gli Usa, con l’obiettivo esplicito di diffondere sfiducia verso i candidati e il sistema politico in generale” ha dichiarato il vice ministro alla Giustizia, Rod Rosenstein, che ha anche sottolineato che l’incriminazione non contiene accuse che americani abbiano consapevolmente partecipato, e che non ci sono prove che l’esito del voto sia stato “alterato”. Contenuti creati dal gruppo furono ritwittati dai due figli del presidente Donald Jr. ed Eric, così come alti esponenti del suo team e della sua cerchia. Secondo l’incriminazione, l’organizzazione russa Internet Research Agency a partire dal 2014 avviò operazioni per interferire con il sistema politico americano, tra cui nelle presidenziali 2016.

Intanto Facebook ha fatto sapere che è in corso un potenziamento del suo personale specializzato sulla sicurezza del social network, che verrà raddoppiato fino a 20mila unità, e che sta lavorando con l’Fbi per fermare le interferenze nel periodo elettorale da parte di russi e altri.

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