Il movente, la dinamica dell’occultamento, la stessa causa della morte. Continuano a venire alla luce nuovi elementi di indagine, ma sono ancora molti i dubbi sugli ultimi minuti di vita di Pamela Mastropietro, la 18enne romana il cui corpo, fatto a pezzi, è stato ritrovato in due trolley abbandonati il 31 gennaio scorso nelle campagne di Pollenza. Diverse domande non hanno ancora trovato risposta. Eppure qualcosa in più c’è: a cominciare dalla tracce di liquido seminale e di saliva sul seno che, scrive il Messaggero, secondo conferme ufficiose i Ris avrebbero trovato sui resti del corpo di Pamela. La ragazza potrebbe aver subito violenza sessuale prima di essere stata uccisa. Le analisi dei tessuti toglieranno i dubbi. Per confermare una violenza di gruppo, bisognerà accertare che queste tracce non appartengano però al 45enne di Mogliano che il giorno prima della morte della ragazza era stato con Pamela in un garage di Corridonia. La violenza sessuale potrebbe rappresentare un movente per l’omicidio, forse il più plausibile ed escludere una volta per tutte l’ipotesi che la 18enne sia morta per overdose. Il procuratore di Macerata, Giovanni Giorgio, a quattro giorni dal ritrovamento del cadavere aveva definito il caso “chiuso”, ma restano perplessità, ad esempio, sulle ragioni che hanno spinto i presunti assassini prima a pulire in modo maniacale il cadavere per cercare di cancellare le tracce e poi a lasciare quei trolley in un luogo dove sarebbero stati facilmente trovati. Non solo. “Hanno coinvolto nel trasporto un quarto uomo che avrebbe potuto raccontare tutto, come è poi accaduto” sottolinea a ilfattoquotidiano.it Marco Valerio Verni, zio della ragazza e avvocato di famiglia, secondo cui “diverse sono le circostanze ancora da chiarire”.

IL PROCURATORE: “NESSUN RITO VOO-DOO” – Nel frattempo il procuratore  di Macerata, Giovanni Giorgio, ha precisato un altro aspetto. Negli ultimi giorni erano diverse le voci secondo cui si ipotizzava che a Pamela sarebbero stati asportati il cuore e, forse, altri organi. Con un’associazione al cannibalismo rituale, che è una prassi diffusa nella mafia nigeriana. “È destituita di ogni fondamento – ha scritto in una nota il procuratore – la notizia relativa all’assenza di significative parti del corpo, che sono state nella stragrande maggioranza recuperate e ricomposte in occasione degli accertamenti medico-legali eseguiti dal professor Mariano Cingolani”. Al momento, dunque, sono “da escludere assolutamente” l’ipotesi di “antropofagia” e di “riti voo-doo connessi al decesso”. Secondo la procura, inoltre, nella morte della ragazza “non risultano, al momento, interferenze di organizzazioni criminali extracomunitarie”.

LA RICOSTRUZIONE – Allora cosa è accaduto? Cosa si dà per certo finora? Gli investigatori dei carabinieri hanno ricostruito gli ultimi giorni di vita della 18enne dall’allontanamento dalla comunità Pars di Corridonia, dopo tre mesi di astinenza dalle droghe, nel primo pomeriggio del 29 gennaio, fino all’arrivo in treno a Macerata, dove ha trascorso la notte nella stazione ferroviaria. Il giorno dopo, il 30 gennaio, Pamela è andata ai giardini Diaz, luogo di spaccio, dove ha incontrato Innocent Oseghale, 29enne con la carta di soggiorno scaduta e precedenti per reati legati agli stupefacenti. Insieme a lui è stata vista in via Spalato da alcuni commercianti. Ha acquistato dei dolcetti in una panetteria e una siringa in una farmacia. “Ci domandiamo se la siringa l’ha comprata per una sua esigenza o perché glielo hanno chiesto – dice l’avvocato Verni – dato che a quanto ci risulta era una cosa che le faceva orrore. Lei fumava o inalava ma non si bucava mai. A questo punto credo sia più probabile che, se c’è stata questa puntura, l’abbiano fatta per stordirla o anestetizzarla”. Un particolare importante, dato che Oseghale ha affermato che Pamela si è sentita male dopo un’overdose. La ragazza è stata ripresa alle 11 da una telecamera di videosorveglianza della farmacia. Aveva un grosso trolley rosso e blu. Insieme a lei c’era Oseghale e qualcuno li ha visti avviarsi verso l’appartamento del nigeriano. Della ragazza si sono così perse le tracce fino alle 9 del 31 gennaio, quando sono stati ritrovati i due trolley, tra cui quello che Pamela aveva con sé il giorno prima. All’appartamento di Oseghale gli inquirenti sono arrivati grazie alla testimonianza di un quarto uomo, un camerunense. Ha raccontato di essere stato chiamato alle 22 del 30 gennaio dal nigeriano che voleva un passaggio in auto a Tolentino. Quando Oseghale è sceso dal palazzo aveva i due trolley che ha voluto personalmente caricare in auto. Lungo il tragitto gli avrebbe detto di svoltare per Pollenza, facendolo accostare per scaricare le valigie e ordinandogli poi di tornare a Macerata. Secondo l’avvocato Verni “un comportamento strano e pericoloso per chi non vuole lasciare tracce”. La mattina seguente, dopo la notizia del ritrovamento del cadavere, il camerunense è tornato sul posto è ha visto le persone che facevano foto e riprese. Ha deciso di raccontare tutto agli inquirenti, riconoscendo in una foto Oseghale. Nell’appartamento gli inquirenti hanno trovato della cannabis, gli abiti insanguinati indossati da Pamela Mastropietro e tracce di sangue in vari locali, lo scontrino della farmacia, diversi coltelli e una piccola mannaia.

QUATTRO INDAGATI, TRE ARRESTI – È stato immediatamente disposto il fermo a carico di Innocent Oseghale accusato di omicidio, distruzione, vilipendio e occultamento di cadavere e il 3 febbraio il gip di Macerata, Giovanni Manzoni, ha convalidato l’arresto ma solo per le accuse di occultamento e vilipendio, ritenendo – sulla base della prima autopsia sul corpo della ragazza – che non vi fosse prova certa per sostenere l’addebito di omicidio, per il quale Oseghale resta comunque indagato. Di certo un’anomalia, soprattutto alla luce di quanto è venuto fuori nei giorni successivi. Il 10 febbraio un’altra svolta nelle indagini con il fermo di altri due nigeriani con l’accusa di concorso in omicidio volontario. Si tratta di Desmond Lucky, 22 anni e Lucky Awelima, 27 anni, già tirato in ballo da Oseghale come fornitore di una piccola dose di eroina a Pamela. Sono entrambi richiedenti asilo e si dicono estranei ai fatti. Un’accelerazione dell’inchiesta, dovuta al rischio di fuga di Awelima, bloccato in stazione a Milano mentre stava andando in Svizzera. Il gip ha convalidato i due fermi, riconoscendo tutti i reati ipotizzati dalla Procura (omicidio volontario, distruzione, occultamento e vilipendio di cadavere e spaccio di droga) perché a differenza di quanto avvenuto per Innocent Oseghale, questi arresti sono stati convalidati sulla base della perizia bis eseguita da un pool di medici legali dell’Università di Macerata tra i quali Mariano Cingolani e Rino Froldi e secondo cui Pamela potrebbe essere morta a seguito di coltellate inferte all’altezza del fegato.

Ma l’inchiesta non era chiusa: oltre ai tre spacciatori nigeriani arrestati, un loro connazionale, Anthony Anyanwu, ha ricevuto un avviso di garanzia per concorso in omicidio, vilipendio, distruzione, soppressione e occultamento di cadavere. Si tratta di un uomo di 39 anni che ha avuto contatti telefonici con gli arrestati il pomeriggio del 30 gennaio. In particolare con Innocent Oseghale che, secondo quanto racconta il quarto uomo indagato,  lo avrebbe chiamato per chiedergli di andare a casa sua perché la ragazza stava male. Lui, però, si sarebbe rifiutato. Secondo i carabinieri e la procura di Macerata l’uomo non dovrebbe essere coinvolto nel delitto ma è stato indagato per poter eseguire “accertamenti tecnici irripetibili”, cioè rilievi palmari e plantari da incrociare con i rilievi del Ris, per tracciare la sua posizione il 30 gennaio, disposti dalla procura di Macerata. In effetti dall’esame delle celle telefoniche è emersa la presenza nella casa di Innocent Oseghale dei tre arrestati, tra le 12 e le 19 del 30 gennaio, mentre il telefonino del quarto indagato non risulta agganciare quella cella. Nelle ultime ore il procuratore di Macerata ha però chiarito che “il quarto indagato non sta prestando alcuna collaborazione alle indagini”.

LA FIDANZATA DI OSEGHALE – Tutti gli indagati, in base alla cella telefonica agganciata, si sarebbero trovati in via Spalato nelle ore incriminate o avrebbero avuto contatti tra loro. Innocent e Desmond, dalla stessa cella, si sarebbero sentiti 17 volte dalle 11.52 alle 16.10. Secondo le rispettive difese parlavano di scommesse sportive. Ma per l’accusa non è così. Entrambi, poi, sono stati visti la mattina del 31 gennaio mentre compravano candeggina. Awelima si è avvalso della facoltà di non rispondere, Desmond Lucky ha invece negato di aver mai conosciuto Pamela e di averle ceduto la droga. A scompigliare le carte sono le parole della compagna di Oseghale e madre di sua figlia di 11 mesi, Michela P., che in un’intervista a Giallo ha dichiarato di essersi sentita più volte quel giorno con il compagno e di aver fatto una videochiamata. “Ed è stata proprio in quella occasione – ha detto – che ho scoperto che Innocent non era in casa da solo, ma con almeno altri due connazionali. Non li conosco di persona, ma posso descriverveli”. Particolari di cui la donna non aveva parlato agli ufficiali di polizia giudiziaria. Ed è per questo che nelle ultime ore la procura di Macerata ha disposto accertamenti sul telefono cellulare della compagna italiana di Oseghale.

LE CAUSE DELLA MORTE E LE DUE AUTOPSIE – In queste ore le ultime notizie sui risultati degli esami. Che rivelano qualcosa in più. Nell’ordinanza di convalida del fermo di Oseghale, infatti, il gip segnalava la mancanza di una documentazione fotografica dello stato del cadavere così come ritrovato nelle valigie. La prima autopsia eseguita dal medico legale Antonio Tombolini – “particolarmente sintetica” scriveva il gip, dalla quale non erano emerse neppure le ferite da taglio all’altezza del fegato, ma solo una contusione non letale alla tempia -non aveva chiarito le modalità del decesso, lasciando aperta sia l’ipotesi dell’overdose, sia quella dell’omicidio. Anzi, si asseriva che le ecchimosi sul corpo della ragazza erano compatibili con “una forte stretta inferta nella percezione che era in atto qualcosa di anomalo”, come l’overdose o anche una caduta dovuta al malessere della ragazza. L’omicidio? L’ordinanza di convalida del gip sottolineava che non c’era un movente, che nessuno aveva sentito le urla della ragazza e che né le lesioni al torace né le ecchimosi erano prova di un omicidio.

Da qui la necessità di una seconda perizia. Che ha cambiato completamente le carte in tavola. L’esame ha rivelato come le due coltellate all’altezza del fegato e il colpo a una tempia riscontrati sul corpo sarebbero stati inferti quando Pamela era viva. A confermarlo anche l’esito dell’esame istologico. Il corpo è stato sezionato con perizia, sottoposto a mutilazioni specifiche e lavato con candeggina per fare sparire ogni traccia di contatto fisico, ma l’intento non sarebbe stato completamente raggiunto. È un tassello che si unisce al fatto che dal corpo mancano piccoli frammenti di pelle dalla zona del bacino (forse per la volontà di eliminare le tracce di un abuso sessuale), ma anche dal collo (probabilmente per cancellare quelle di uno strangolamento), dato che la lingua della ragazza era incastrata fra i denti, proprio come avviene in caso di soffocamento. Ora sarà necessario comparare il liquido seminale trovato con quello dei tre arrestati e con quello dell’uomo di Mogliano che è stato con Pamela il giorno prima della sua morte. Sono stati già prelevati campioni di saliva per ricostruire i dna. Ma serve anche l’esito degli accertamenti tossicologici per capire se Pamela avesse assunto eroina e se avesse accusato un malore, come raccontato invece da Oseghale.

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