Tim fa ricorso al Presidente della Repubblica contro il golden power, i poteri speciali nelle mani del governo per tutelare asset di interesse nazionale. Di fatto l’azienda controllata dalla francese Vivendi accorcia così i tempi per ottenere un giudizio definitivo su un tema decisamente delicato per il governo di Paolo Gentiloni. E lo fa nel pieno di una campagna elettorale in cui l’opinione pubblica è concentrata su argomenti che investono la vita quotidiana dei cittadini. Temi decisamente lontani dalle complesse manovre finanziarie per decidere il futuro di Tim e il suo destino incrociato con l’impero di Silvio Berlusconi, alle prese con un braccio di ferro con Vivendi dopo il dietrofront francese sull’acquisto della pay tv Mediaset Premium.

Il procedimento avviato da Tim davanti al presidente Sergio Mattarella prevede infatti che il ricorso finisca per direttissima sul tavolo del Consiglio di Stato, saltando il Tribunale amministrativo del Lazio. Sulla legittimità del golden power saranno quindi chiamati a decidere la prima o la seconda sezione del Consiglio di Stato: nel primo caso il collegio sarà presieduto da Raffaele Carboni e Mario Luigi Torsello; nel secondo sarà guidato da Gianpiero Paolo Cirillo e Gerardo Mastandrea che saranno affiancati da consiglieri noti come l’ex comandante dei vigili urbani Antonella Manzione e l’ex commissario straordinario di Roma, Francesco Paolo Tronca.

In attesa del giudizio, che normalmente richiede almeno un anno di attesa, in Tim regna il caos. Il vicepresidente esecutivo, nonché garante italiano per le reti strategiche di Sparkle e i telefonini criptati Telsy, Giuseppe Recchi, lascerà le deleghe operative per assumere la guida di un private equity europeo. L’amministratore delegato, Amos Genish, ha invece smentito l’intenzione di gettare la spugna perché in contrasto con l’azionista di riferimento Vivendi, socio oltre che di Tim anche di Mediaset. Ma di fatto la decisione di ricorrere al Presidente della Repubblica va contro la strategia accomodante finora attuata da Genish per tentare di ricucire lo strappo con il governo italiano sul tema dei fondi pubblici per lo sviluppo dell’infrastruttura di rete e del possesso congiunto di quote rilevanti di Tim e di Mediaset. Come se non bastasse, Vivendi ha anche dovuto temporaneamente accantonare il progetto di una nuova pay tv per l’Italia assieme alla controllata francese Canal Plus perché si tratta di un progetto fra parti correlate da sottoporre al vaglio del comitato degli indipendenti, come del resto aveva sin dall’inizio rilevato l’associazione dei piccoli soci Tim, Asati.

Intanto l’azienda ha annunciato un piano triennale di ristrutturazione. Saranno undicimila le persone coinvolte fra esuberi volontari e ricollocamenti, pari ad un quinto dell’intera forza lavoro del gruppo. Inoltre Tim ha chiesto a tutti i dipendenti la riduzione dell’orario di lavoro per attuare una solidarietà espansiva (20 minuti al giorno) che consentirà l’assunzione di circa duemila giovani. Ma i sindacati hanno subito frenato. “La grande complessità delle tematiche esposte ed i passaggi democratici necessari non possono essere bypassati da una scadenza imposta unilateralmente dall’azienda, pena il rischio di insuccesso del negoziato con le relative conseguenze”, hanno dichiarato Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil, in occasione della presentazione del piano lo scorso 18 gennaio. Ma Tim sembra intenzionata ad andare avanti per “alleggerire” e “svecchiare” la struttura del gruppo. Operazione più facile senza un governo forte. O, peggio ancora, ostile.

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