L’idea non è particolarmente originale, considerato che se ne parla dall’inizio degli anni Novanta. Colpisce però che il progetto di un maxi taglio del debito pubblico basato su una vendita straordinaria di beni dello Stato sia messo nero su bianco, quasi identico, nei piani di legislatura di Forza Italia e del Pd. Potenziali protagonisti, dopo il voto del 4 marzo, di una grande coalizione che farebbe contenta Bruxelles, dichiaratamente preoccupata dalle prese di posizione euroscettiche di Lega e M5s. La convergenza salta all’occhio leggendo gli interventi del presidente dei deputati di FI Renato Brunetta e del consigliere economico della presidenza del Consiglio Luigi Marattin (Pd) pubblicati sul Foglio il 17 gennaio. Oggetto, le proposte per ridurre un debito che nel 2017 è lievitato oltre il 132% del pil e dopo la fine del quantitative easing della Bce potrebbe esporre la Penisola a nuovi attacchi speculativi.

Il partito di Silvio Berlusconi va oltre le grandi cartolarizzazioni immobiliari sognate da Giulio Tremonti all’inizio degli anni Duemila e, aggiungendo alla posta in gioco anche le quote dei gruppi pubblici, arriva di fatto per proporre un’operazione molto simile a quella incentrata su Cassa depositi e prestiti che Matteo Renzi ha delineato la scorsa estate nel suo libro Avanti. Sia Brunetta sia Marattin, innanzitutto, annunciano che intendono ridurre il rapporto debito/pil al 100%. Per avere un ordine di grandezza, si parla di una differenza di circa 560 miliardi. Forza Italia conta di farlo in cinque anni (come del resto il Popolo della Libertà aveva promesso già nel programma elettorale del 2013,) il Pd “nei prossimi dieci“.

Il piano Capricorn lanciato da Renzi – In entrambi gli interventi si sottolinea che occorre per prima cosa far crescere il denominatore, cioè il prodotto interno lordo. Il secondo pilastro è l’attacco frontale all’ammontare nominale del debito. E qui le proposte corrono su un unico binario. Marattin parla di “un programma di dismissioni patrimoniali (mobiliari e immobiliari) capace di assicurare lungo i 10 anni una cifra compresa tra il 2% e il 4% del pil“. Cioè tra 24 e 48 miliardi, al valore attuale del prodotto interno lordo. Non ci sono altri dettagli, ma viene naturale pensare al piano Capricorn, quello che il segretario Pd ha descritto nel suo libro come “un’operazione sul patrimonio che la Cassa depositi e prestiti e il ministero dell’Economia e delle Finanze hanno già studiato”. Intervistato dal Sole 24 Ore, l’ex premier aveva parlato di un’iniziativa “che consenta ai cittadini di avere forme di rendimento sicure e solide anche attraverso la partecipazione ai beni immobili e mobili che costituiscono il patrimonio di amministrazione centrale ed enti locali”, un’operazione “potenzialmente win win” in cui “la Cdp avrà un ruolo strategico”.

Reuters aveva aggiunto qualche particolare, spiegando che il piano prevede che le quote residue di Poste, Eni, Enel, Enav e Fs ancora in mano al Tesoro e qualche asset immobiliare vengano ceduti al gruppo pubblico che gestisce il risparmio postale. Cdp finanzierebbe l’acquisizione emettendo azioni privilegiate che potrebbero essere cedute a investitori istituzionali. Di fatto è una partita di giro, visto che Cdp è controllata dal ministero di via XX Settembre. Ma l’escamotage potrebbe funzionare fino a quando Eurostat la considera fuori dal perimetro del debito pubblico. Cosa che recentemente è stata oggetto di riflessione da parte dell’istituzione del Lussemburgo, tanto che a fine dicembre il governo ha dovuto bloccare la cessione alla Cassa del 50,37% di Enav e di una parte del 4,34% posseduto in Eni.

Brunetta: “Società veicolo a cui cedere beni e emissione di obbligazioni garantite” – Brunetta dal canto suo propone che vengano individuati “beni patrimoniali e diritti dello Stato disponibili e non strategici” da vendere “a una società veicolo partecipata principalmente da istituzioni finanziarie con capitale rilevante”, nonché la “individuazione di lotti di beni e diritti di circa 25 miliardi l’uno” per ognuno dei quali verrebbero emesse obbligazioni garantite da quegli stessi beni, da vendere garantendo un tasso di interesse inferiore a quello dei titoli di Stato perché avrebbero incorporata una opzione warrant. I proventi andrebbero a ridurre il debito e alla scadenza “il possessore di warrant ha diritto all’acquisto dei beni e diritti del lotto”. Ci sarebbe inoltre un concambio facoltativo dei titoli di debito pubblico in mano a privati e investitori istituzionali con le nuove obbligazioni con warrant.

Per la crescita FI invoca la flat tax. Ma c’è accordo sul mantenere invariato l’avanzo primario – Sulle strade per spingere la crescita le ricette sono invece diverse. La formazione berlusconiana intende sostenere il progresso dell’economia con la flat tax, “un’aliquota unica per tutti”, che secondo Brunetta sarà “totalmente finanziata dal taglio delle tax expenditures, vale a dire le deduzioni e detrazioni fiscali attualmente in vigore, dal taglio della cattiva spesa pubblica, dall’emersione del sommerso e dal reset delle liti fiscali pendenti”. I dem rilanciano sulla “continuazione delle riforme strutturali”, da associare al mantenimento dell’avanzo primario (differenza tra entrate e spese, al netto degli interessi sui titoli di Stato) “al livello 2018”. Che stando al Documento programmatico di bilancio è il 2%, come scrive Marattin. Brunetta lo dà “non lontano dal 2,5% del pil”, ma anche per lui deve rimanere invariato. Scomparsa dal radar del programma dem l’intenzione, anche questa messa nero su bianco da Renzi nell’ultimo libro, di portare il deficit/pil fino a quota 2,9% per “avere a disposizione almeno 30 miliardi per i prossimi 5 anni per ridurre la pressione fiscale e rimodellare le strategie di crescita”.

M5S: “Basta aumentare le entrate”. Lega insiste: il problema è l’euro – Più vaghe le idee inviate al Foglio da M5s Lega. La deputata Laura Castelli scrive che il Movimento sta “lavorando a un piano ambizioso che punta a ridurre il rapporto debito/pil di 40 punti percentuali“, quindi sotto il 100%, “nel corso di due legislature”, ma per ora si limita a prefigurare l’utilizzo per questo fine delle “maggiori entrate” che deriverebbero da “una prima fase di investimenti in settori innovativi con un fortissimo ritorno occupazionale e di crescita”. Claudio Borghi, per il Carroccio, sostiene che di per sé il debito pubblico “non è una scoria, una pila di letame che prima o poi bisognerà spalare” e l’unico problema è che “abbiamo avuto l’idea nefasta di privarci del controllo della moneta”. Di conseguenza ora il debito occorre ridurlo, ma si farà con “la crescita”, “immettendo denaro nel sistema economico con detassazioni e investimenti produttivi”. Chiosa: “Per l’Italia una crescita stabile finché si troverà all’interno dell’Eurozona non è sostenibile“.

LeU rilancia l’idea di Minenna, ex assessore della Raggi  Stefano Fassina, deputato di Sinistra italiana, nella veste di esponente di Liberi e uguali prospetta invece due strade parallele: da un lato la crescita “attraverso investimenti pubblici n piccole opere per riqualificare il territorio e rigenerare le periferie e nelle politiche industriali selettive”. Dall’altro “l’attribuzione al Fondo salva Stati di funzioni di assicurazione dei debiti sovrani dietro il pagamento, da parte di ciascuno Stato dell’eurozona, di un premio di mercato, così da arrivare, in un decennio, alla convergenza dei tassi di interesse”. L’idea, ricorda Fassina, “è stata formulata da Marcello Minenna“, dirigente dell’ufficio Analisi Quantitative della Consob, dal luglio al settembre 2016 assessore al Bilancio della giunta di Virginia Raggi e ancora ritenuto vicino al movimento fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Infine i radicali della Lista +Europa con Emma Bonino, il cui programma sui conti pubblici non compare sul Foglio ma è stato delineato già a dicembre su sollecitazione dell’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli. Per loro il debito si può ridurre “solo contenendo la spesa”, in particolare “congelando la spesa pubblica italiana al livello nominale del 2017 per tutta la durata della prossima legislatura”.

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