Dopo una serie infinita di fallimenti letterari (il più mirabolante è probabilmente quello legato alla messa in stampa di un libro di pagine bianche, nella speranza di fare successo grazie a un’opera che non stanchi i lettori), Domizio Pertica decide di aprire un’agenzia investigativa insieme alla praghese Venus Diomede, giunta in Italia in compagnia della sua merla parlante. Da qui prende, anzi prosegue, una narrazione surreale che deve molto alla letteratura noir, ma anche al realismo magico di stampo sudamericano, ai deliri on the road alla vodka di Venedikt Erofeev e a una lunga tradizione di testi rappresentativi del caos e della delirante società postmoderna globale. Si tratta di Agenzia Pertica, di Luca Ragagnin (Miraggi Edizioni), opera originale, colta e divertentissima difficilmente collocabile nell’ormai trito e commerciale panorama letterario nazionale.

Sodoma, di Pasquale Vitagliano (Castelvecchi/Lit Edizioni), è un viaggio nel tempo, dagli anni Sessanta ai giorni nostri, all’interno di un ospedale pugliese. Si narrano il declino della struttura, e il disfacimento di un tessuto economico e sociale che sconfina oltre i muri del nosocomio per infiltrarsi nel territorio. E si narrano le vicissitudini della famiglia Adessi, composta da Felicita, ostetrica, da suo marito Pasquale, maresciallo, Eleonora, costantemente alle prese con gravi disturbi alimentari, una figlia adottiva che grazie a una finta laurea in ginecologia lavora abusivamente. Grazie a una prosa asciutta, il giornalista e critico letterario leccese racconta la cronaca e i mali del nostro presente puntando la telecamera su un micromondo che è specchio di un’intera nazione.

Sodoma

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Un’odissea a tratti scanzonata, a tratti melanconica e commovente nella Sicilia odierna viene raccontata da Carlo Loforti in Malùra (Baldini&Castoldi). Mimmo Calò, quando viene rilasciato dal carcere dopo tredici mesi di custodia cautelare, ha perso quasi tutto: lavoro, moglie, affetti. Gli rimangono suo padre e il suo vecchio amico Pier Francesco, con il quale condivide molti scheletri nell’armadio. Insieme, i tre salgono a bordo di una scassata Ritmo del 1988 e si mettono in marcia per le strade siciliane alla scoperta del vero significato dell’amicizia e del rapporto tra padri e figli. Ma il romanzo vuole essere anche una rappresentazione di un altro tipo di “fuga”, quella dalla malùra, che nel dialetto siciliano indica uno stato fisico ed emotivo di crisi profonda, in cui la stessa sopravvivenza dell’individuo è messa in discussione.

Nicola Vacca ha sempre dichiarato di amare gli scrittori estremi, e nella sua ultima opera, Lettere a Cioran (prefazione di Mattia Luigi Pozzi; Galaad Edizioni), conferma queste sue parole. Narrando dei luoghi del filosofo romeno (in primis Parigi, sua città d’adozione) e da dove nasca il suo amore per questa figura originale di pensatore del Novecento, Vacca tesse un mosaico intorno alle tematiche più note di Cioran: la filosofia come terapia, la vertigine e la lucidità del dolore, l’ironia capace di cogliere l’assurdità, la nascita come sciagura, la prosa frammentaria e discontinua per ridurre il pensiero al suo nucleo. Ne viene fuori un ritratto inedito e al contempo un libro su cui confrontarsi riguardo a temi cari a molti estimatori-detrattori del filosofo.

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