I profili falsi che twittano (e rilanciano tweet di altri) in automatico, i cosiddetti “fake bot”, si diffondono a macchia d’olio. La mail di registrazione è sempre la stessa, l’iscrizione molto spesso è avvenuta nel gennaio 2012. Come nel caso dei post sui finti terremotati che rientravano nelle loro casette, come nei casi scovati ieri dal ilfattoquotidiano.it su un tweet “sull’Europa che vorrei”. Tutto, anche in questo caso, porta a Roma. La nuova serie di “fake bot” è stata scovata da David Puente, l’informatico che negli scorsi giorni aveva rintracciato la mail comune dei profili pro terremoto. Nei due nuovi casi ad essere replicati nel corso del tempo sono stati un tweet riguardante i tagli dei fondi alla disabilità e un tweet di Vittorio Zucconi contro Beppe Grillo.

Il 24 novembre 2014 l’utente BladeRoller pubblica un tweet sul tema della disabilità: “Salvini: “Governo schifoso: soldi tolti a disabili per gli immigrati”. Io non cammino, ma mica farei cambio con le condizioni di un immigrato”. Tra il 2015 e il 2017, il messaggio viene replicato da decine di fake bot tra i quali Ely Faraoni, Gino Poteri, Gaietta, Patrizio Urgano, Malca, Sara, Renata Laretti, Rina, Francesco Notai ed Enzo Rigoni.

Lo schema si ripete con un post del giornalista Vittorio Zucconi: “Cosa succederebbe se ti trovassi la Boldrini in macchina?” chiede Grillo? Farei guidare lei, visti i precedenti di Grillo”, scrisse l’1 febbraio 2014 il giornalista commenta il video di un attivista pentastellato finito sul blog del leader del M5s. Negli anni successivi, lo stesso identico post comparirà sui profili di altre decine di utenti falsi tra i quali Mino Casalino, Alice Baldivani, Arnaldo Brescian e Olga Manasse. Come ricostruito da Puente, sia i profili che hanno replicato il messaggio sulla disabilità che quello su Zucconi hanno tutti la stessa mail associata, identica a quella dei profili che twittavano sul rientro nelle case dopo il terremoto.

Scorrendo la loro timeline, ilfattoquotidiano.it ha verificato che – come nei fake bot emersi negli scorsi giorni – anche questi profili in diversi casi presentano altre analogie con i falsi terremotati e coloro che twittavano sull’Europa. Al di là del numero dei follower e della scarsa interazione con gli altri utenti, spuntano molteplici retweet dei sondaggi di IsayData, la società romana che attraverso i suoi fondatori ha smentito di aver alcun legame con i profili falsi.

Eppure, ancora una volta, ecco altre particolari coincidenze. Come spiegato sabato, IsayData fa parte della galassia di IsayWeb, una società che come si legge sul profilo Linkedin di uno dei suoi soci, Gianluca Pontecorvo, ha lavorato o lavora ancora con Ilva, Banca Popolare di Bari e Philip Morris. E anche sui nuovi profili falsi rintracciati compaiono retweet riguardanti i clienti della società. Ancora Ilva, con Renata Lanetti che condivide un post contro il governatore della Puglia Michele Emiliano. Poi è Enzo Rigoni a rilanciare un articolo del Corriere nel quale si parla della riapertura del tavolo negoziale tra la nuova proprietà AmInvestco e i sindacati.

E poi ecco spuntare anche la Popolare di Bari e la nota multinazionale di sigarette. In entrambi i casi è Enzo Rigoni a condividere i messaggi, uno di tale Mirko, anche lui con un profilo da “fake bot”, e l’altro di Denis Fermi. A settembre il tweet “Attacco a Banca Popolare di Bari ingiustificato”, rilanciato 6 volte, che rimanda direttamente a un link dell’istituto di credito dove si replica alle notizie di stampa su un’indagine che coinvolge la BpB; mentre a giugno rilancia un articolo sull’investimento da 500 milioni di euro in Italia da parte di Philip Morris.

Non mancano, come nella serie di “fake bot” rintracciati sabato dal Fatto.it, retweet di Progetto Dreyfus, di cui Pontecorvo è vicepresidente. Lo stesso Pontecorvo e il suo socio Ralph Di Segni negli scorsi giorni avevano spiegato ad Agi riguardo all’uso dei profili falsi per veicolare automaticamente alcuni messaggi: “Non lo abbiamo mai fatto, non ci riguarda in nessun modo. I bot sono un fenomeno che conosciamo, ma che non ci appartiene. In un certo senso ci spaventa pure che questo sia successo, potremmo essere finiti in un gioco più grande di noi”.

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