Non esistono conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato così come segnalati da 4 ricorsi alla Corte Costituzionale firmati dagli avvocati anti-Porcellum, dai parlamentari M5s e dal Codacons. Per la Consulta i 4 ricorsi sono inammissibili: da una parte “un senatore non ha titolo per sollevare conflitto contro il Governo, per di più lamentando vizi del procedimento parlamentare seguito presso la Camera” (come potere dello Stato è semmai inteso il Parlamento nel suo insieme), dall’altra “nessuno dei tre ricorsi individua in modo chiaro e univoco né la qualità in cui i ricorrenti si rivolgono alla Corte né le competenze eventualmente lese né l’atto impugnato”. Quindi i ricorsi, secondo i giudici costituzionali, non possono essere nemmeno discussi per via di “gravi carenze degli atti introduttivi” che “non mettono la Corte in condizione di deliberare sul merito delle questioni”, una sottolineatura che vale per tre dei 4 ricorsi presentati col sostegno del M5s, ma che si estende anche al quarto proposto anche dal Codacons.

Sotto il faro della Consulta c’erano quattro ricorsi per conflitto di attribuzione. Due riguardavano l’Italicum, due il Rosatellum. Ma il problema sollevato era lo stesso: l’approvazione con il ricorso alla fiducia. A promuovere le azioni il Codacons e alcuni parlamentari dei Cinquestelle a Camera e Senato, con il contributo dei legali anti-Porcellum, a partire da Felice Besostri. Proprio l’iniziativa dei parlamentari era la prima novità perché la Corte doveva in prima istanza stabilire se singoli parlamentari potevano configurarsi come poteri dello Stato. E lì ci siamo fermati. La Corte ha detto che un senatore non ha titolo per sollevare un conflitto contro il governo, lo è semmai il Parlamento nel suo insieme. I legali erano invece convinti sul punto: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione – avevano detto – La Costituzione italiana afferma che la sovranità appartiene, e non promana o discende, dal popolo”. Quindi, “il corpo elettorale è un potere dello Stato”.

Il pool di avvocati guidato da Besostri si prepara tuttavia a depositare – tra domani e giovedì – un altro ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sul Rosatellum. Nel ricorso – su cui si sta ultimando la raccolta firme – i legali si qualificano come esponenti del corpo elettorale e come tale ritengono di poter essere qualificati come potere dello Stato, e agiscono contro le Camere. Al centro del ricorso, non solo l’iter di approvazione del Rosatellum con la fiducia, ma anche il merito della legge e gli snodi considerati dai ricorrenti incostituzionali. Quanto a eventuali esponenti politici pronti ad appoggiare l’iniziativa, “non farò nomi – afferma Besostri – e chiedo che dopo il deposito che intende manifestare la propria adesione, lo comunichi personalmente”. Secondo Besostri le motivazioni della Corte Costituzionale “non chiudono in maniera definitiva la possibilità di riproporli tenendo conto delle critiche sollevate dalla Corte sulla loro formulazione” anche perché “sembra quasi che la Corte si lamenti di non essere potuta entrare nel merito”. D’altra parte la decisione di inammissibilità è “meramente procedurale, nulla dice né direttamente né indirettamente sulla legittimità costituzionale del Rosatellum, che resta incostituzionale, perché ancora una volta la grande maggioranza se non la totalità dei Parlamentari sono nominati dai partiti e non eletti dai cittadini”. Ma la battaglia non si ferma, soprattutto perché – come con il Porcellum e l’Italicum, entrambi censurati e destrutturati dai giudici – il pool “Antitalicum” vede vari profili di incostituzionalità: “Voto disgiunto, assenza di scorporo e norme a favore dei Parlamentari uscenti non sono un buon segno di sviluppo democratico, che deve sempre consentire il sorgere di nuovi soggetti politici che interpretino meglio le aspirazioni dei cittadini”.

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