“Questo incidente ha causato 305 martiri, di cui 27 bambini che accompagnavano i genitori, e altri 128 feriti“. Questa la fredda nota pubblicata dalla procura egiziana che aggiorna ancora una volta le cifre dell’attentato del 24 novembre alla moschea sufi del villaggio di al-Rawdah, nel governatorato del Sinai del Nord, Egitto settentrionale. Se al momento l’Isis non ha rivendicato l’attentato, la nota della procura fuga ogni dubbio: “Gli assalitori erano tra i 25 e i 30 e sventolavano una bandiera del sedicente Stato Islamico su cui era scritto ‘Testimonio che non c’è divinità se non Dio e testimonio che Maometto è il Suo Messaggero”.

Secondo il racconto di alcuni testimoni, i terroristi sono arrivati a bordo di cinque vetture 4×4, indossavano maschere e uniformi militari. Il ministero della Sanità ha confermato che hanno aperto il fuoco anche contro le ambulanze che si stavano avvicinando al luogo dell’incidente, in quello che il New York Times definisce “uno dei peggiori massacri di civili della storia moderna dell’Egitto”.

Il comunicato diffuso dalla procura ha ripercorso la dinamica dell’attacco: “Iniziata la preghiera i fedeli sono rimasti sorpresi di vedere i terroristi posizionarsi davanti alla porta e alle 12 finestre della moschea. Quelli che avevano armi automatiche hanno aperto il fuoco sui fedeli. Hanno aperto il fuoco contro i fedeli alla cieca e il sangue copriva il centro della moschea e i bagni. I testimoni hanno inoltre riferito di aver udito forti esplosioni provenire dall’esterno della moschea”. Secondo il racconto fornito da alcuni testimoni, le persone alcune delle persone del commando erano “a volto coperto, altre no, con folti capelli e barbe, e armi automatiche”. “All’inizio la sparatoria era a caso, poi è divenuta più deliberata: chiunque non erano sicuri fosse morto, o ancora respirava, lo uccidevano”. Questa la testimonianza di Mansour, un operaio di 38 anni sopravvissuto all’attacco. “È durato 20 minuti, i terroristi gridavano ‘Allah è grande‘. Tutti erano a terra e tenevano la testa bassa. Se alzavi la testa ti sparavano”.

Nella conferenza dopo l’attentato, il presidente Al-Sisi ha detto che la reazione all’attacco sarebbe stata brutale. Poco dopo, due droni avevano distrutto due auto utilizzate per l’attentato e ucciso tutti i 15 passeggeri, come confermato da Tamer Rifai, portavoce dell’esercito: “Le forze dell’ordine proseguono con l’aviazione il setacciamento di covi terroristi alla ricerca dei takfiri – i terroristi islamici che hanno compiuto l’attacco – Continuiamo la nostra caccia, abbiamo già demolito diversi covi di terroristi contenenti armi e munizioni”.

Nel frattempo sono stati condannati a morte sette presunti terroristi dell’Isis appartenenti a una cellula attiva a Marsa Matruh, sulla costa mediterranea dell’Egitto. A decidere la condanna è stata la Corte d’Assise del Cairo, anche se i condannati potranno ricorrere in Cassazione. “Alcuni di loro avevano partecipato alla decapitazione di 21 egiziani in Libia“, sostiene la corte riferendosi alla esecuzione compiuta dai terroristi islamici in una spiaggia probabilmente non lontana da Sirte e mostrata in un video diffuso a metà febbraio del 2015. I giudici hanno anche condannato all’ergastolo dieci jihadisti che si sarebbero formati tra Libia e Siria e stavano pianificando attentati in Egitto.

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