Tutte le istituzioni (Regioni e Comuni) sembrano sorprese, o quasi, per gli alti livelli di smog che si registrano in tutta la valle padana da settimane. Ancor prima dell’accensione delle caldaie per il riscaldamento domestico, i livelli di Pm10 sono saliti alle stelle complici le temperature estive, l’assenza di pioggia e vento. I limiti di 50 microgrammi per metro cubo di Pm10 sono sforati da troppo tempo. Fanno la parte da leone le emissioni derivanti dal massiccio e squilibrato utilizzo di automobili e tir per i trasporti di persone e merci.

Mentre sale l’allarme per l’ aggravamento dello stato dell’aria in quasi tutta la pianura padana, le regioni del nord e i piccoli Comuni, come l’armata Brancaleone, adottano dei provvedimenti emergenziali venduti come successi, che si sono però sempre rivelati inutili “panniccelli caldi”. Alcune misure vengono prese ma non fatte rispettare, sia sulla circolazione di auto e tir diesel più inquinanti sia sui livelli delle temperature da tenere in casa e negli uffici pubblici.

La massiccia deindustrializzazione e delocalizzazione di questi anni ha sì spostato una parte delle emissioni in altri Paesi; c’è sicuramente ancora molto da fare per ridurre l’inquinamento di fonderie, cementifici, acciaierie e altre attività industriali, visto che sono rimasti gli impianti più obsoleti. Un contributo all’avvelenamento dell’aria viene da tempo apportato anche da un’altra sorgente, l’agricoltura. L’inquinamento da traffico, che contribuisce al 30/40% del Pm10, si mischia non solo con quello industriale, ma anche con l’ammoniaca prodotta in agricoltura. Se per le industrie e l’agricoltura una traiettoria di investimenti per la riduzione dell’impatto ambientale (rinnovamento impianti, nuove tecnologie e riduzione dell’uso dei prodotti chimici) comporta tempi lunghi, dipendendo da azioni pubbliche (regole e risorse) e private (mercato e risorse), per quanto riguarda i trasporti  le cose stanno andando sempre peggio. Infatti la quota modale dell’uso del trasporto pubblico tra il 2002 e il 2016 (passando dal 37,2% al 31,1% – dati Isfort/Aci) è peggiorata. Peggiorata nonostante un volume consistente di risorse pubbliche garantite e trasferite a Regioni, Comuni, provincie ed aziende pubbliche, come le Ferrovie dello Stato e Ferrovie in concessione.

La quota di trasporto merci su ferrovia con il 7% è il fanalino di coda europeo. Serve un’Autority dei trasporti. Servono scelte di rilancio del trasporto pubblico con l’adozione di un’Autority per l’integrazione dei servizi di trasporto, almeno nelle capitali di regione, non solo del nord, come avviene in tutta Europa. Non c’è il miracolo dietro l’angolo. Per battere lo smog non bastano, anche se sono le benvenute, poche e scoordinate misure d’emergenza, che peraltro ogni anno scattano in ritardo. La salute dei cittadini è sempre più compromessa. Si può offrire un efficiente servizio pubblico integrato tra autobus e ferrovia in tutte le città e provincie, mentre aumentano i pendolari costretti a usare l’automobile. Le aziende di trasporto urbane ed extraurbane non dialogano, non hanno obiettivi comuni se non quello di portarsi a casa i sussidi pubblici. Basti pensare che non ci sono ancora i biglietti integrati validi per tutti i mezzi, come in ogni città europea. Il divario di produttività ed efficienza delle aziende di trasporto italiane (Atac) è molto distante dalle medie comunitarie. Da decenni i contratti di servizio sono prorogati senza gara e il settore vive con modelli di organizzazione carenti e garantiti dall’assenza di elementi competizione. Competizione che, negli ultimi trent’anni, ha rivoluzionato e rilanciato il trasporto pubblico in tutta Europa.

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