Oggi, in Italia, una parte di una parte del Paese chiede di tenere per sé più risorse perché in questa fase storica il suo reddito pro capite è più alto e, per mantenere standard di servizi più alti per i propri cittadini, decide bene di spendere circa 70 milioni di euro per un referendum dall’orizzonte quanto meno fumoso. Sempre positivo il ricorso alle urne, ma il fine non giustifica i mezzi, in alcuni casi, dato che le Regioni hanno ben altri strumenti, senz’altro più economici, per invocare più autonomia.

È il caso del referendum Lombardo-Veneto, basato sull’idea che troppo alto sarebbe il residuo fiscale delle regioni coinvolte: intorno ai 50 miliardi. In realtà, secondo Paolo Balduzzi, l’ammontare vero di quel residuo, sarebbe circa la metà. Mi pare sempre più frequente il ricorso all’immagine comoda e rassicurante dello steccato, a livello globale. Da Donald Trump, che sostiene: “A Nation Without Borders Is Not A Nation” ai referendum autonomisti, fino alla Brexit. Ovunque, la paura dell’uomo occidentale lo sta portando a erigere muri di protezione: contro i migranti, contro il nemico. Aggiungerei, contro i meridionali. Eppure, in Italia vige ancora una Costituzione. Questa Costituzione sostiene all’art. 117 lett.m che occorre provvedere alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Parole che rischiano di rimanere una dichiarazione formale e vuota, se tutti i cittadini italiani non vedono riconosciuti eguali diritti: la Costituzione rischia sempre più di esser violata nella sostanza e tutto ciò che conduce verso una simile aberrazione è in conflitto con quel dettato, violandone i principi fondamentali.

L’esperienza quotidiana insegna, purtroppo, che in molte regioni (meridionali) il livello dei servizi offerti ai cittadini è sempre più basso. Trasporti, sanità, asili, scuola, università. Le migliaia di studenti che emigrano nelle università del Nord e l’emorragia di capitale umano hanno fatto sì che in dieci anni il Sud abbia perso 3,3 miliardi di euro di investimento in capitale umano e 2,5 miliardi di tasse, che emigrano verso le università del Nord.

Infatti, il Sud ha perso 716 mila persone, in questi anni, di cui circa 198 mila laureati, solo negli ultimi anni. Queste ingenti somme il residuo fiscale, evidentemente, non le conta. Come il quotidiano acquisto di prodotti e servizi. E che dire della spesa drammatica dei migranti della sanità che, per avere cure migliori, si trasferiscono quotidianamente al Nord con un triste indotto collegato? Chi solletichi le paure e gli egoismi della gente, sa perfettamente che un Pil più alto oggi è il frutto di spese sostenute da tutto il Paese per arricchire aree più sviluppate e farne “locomotori” che avrebbero dovuto trainare tutto il paese. E invece non trainano nulla a quanto pare.

Bisognerebbe metter mano alla gravissima discrepanza tra trasferimenti alle Regioni e livelli dei servizi, mettere a nudo l’inettitudine di chi i fondi trasferiti non riesce a metterli a frutto, invece di aggiungere confusione demagogica. Un bell’articolo di Francesco Sabatino su Lettera43 ricorda che “il divario tra Sud e Nord nelle risorse pubbliche va ben oltre il residuo fiscale, anche tenendo conto che i centro settentrionali possono contare sul supporto di un sistema semipubblico come quello delle fondazioni (patrimonio totale di 40 miliardi quasi interamente collocato sopra Roma) o che gli incentivi a fondo perduto sono stati sostituiti da strumenti legati all’acquisto di macchinari e servizi (la nuova Sabatini o i superammortamenti di Industria 4.0) che premiano soprattutto le aree più produttive”.

Si fa sempre così, in Italia: anziché metter mano ai problemi si elucubra e si divide nel segno della demagogia. Dove vanno a finire i soldi trasferiti? Perché non si chiarisce questo punto? Perché non si mette il cittadino nelle condizioni di sapere la ragione di questi buchi e di queste disfunzioni? Dovrebbe esser la gente del Sud a ribellarsi, di fronte a tanto spreco di risorse. Infine, le interdipendenze dell’economia globale rendono ridicolo ogni sussulto neonazionalista. Il concetto di confine è superato e scandaloso e rischia di mettere in discussione il più nobile progetto europeo che, pur con gravi defaillance, è riuscito ad avvicinare le popolazioni del nostro continente come mai nella storia. Non confondiamo l’oro con le patacche. Ringrazio Natale Cuccurese per le gradevoli conversazioni sul Sud.

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