Dalle Alpi alle Termopili, dal Manzanarre al Reno, le Sinistre vanno al governo e adottano politiche di destra. Cresce perciò l’ingiustizia sociale, e la protesta anti-sistema. Di chi la colpa? Non della globalizzazione! C’è un elefante nella stanza… [Questi avvenimenti sono stati narrati nei post “Le false partenze della sinistra 1 e 2”].

Cosa impedisce alla sinistra europea di fare il suo mestiere quando va al governo? Non la globalizzazione: è solo economia di mercato (internazionale). Né l’Amerika: è con noi (come i mercati globali) da almeno due secoli, durante i quali la sinistra è cresciuta e ha cambiato il mondo. L’Urss non c’è più? D’accordo, ma non c’era neppure nel 1820-1920. Né il successivo progresso sociale è stato determinato solo dal comunismo: non in Germania, ad esempio, dove han fatto tutto sinistra cattolica e socialisti; non negli Usa, dove ha fatto tutto la sinistra liberale. No! L’elefante nella stanza è l’euro di Maastricht: moneta fondata su istituzioni e regole non solo disfunzionali, ma anche ostili ai ceti deboli e ai lavoratori. Un problema enorme che i leader fingono di non vedere.

Non so dov’erano e cosa leggevano in questi anni i vecchi e nuovi politici che – solo per indignarsi contro il Renzismo (o il Populismo) – pensano di potersi offrire a noi come guide verso il sol dell’avvenire. So però che, al di là delle buone intenzioni, vendono fumo. Non è possibile “rilanciare la sinistra” senza fare i conti con i meccanismi economici che provocano la deriva liberista. Uno di questi – l’oggetto di questo articolo – è la competitività.

In un post precedente ho sostenuto che la competizione commerciale fra nazioni è in genere un falso problema, che non obbliga affatto a una “corsa al ribasso” su salari, diritti, welfare, sicurezza sul lavoro ecc. Ciò grazie ai tassi di cambio, che riequilibrano costantemente le differenze competitive internazionali, “svalutando” o “rivalutando” indistintamente tutti i fattori produttivi di una nazione. Ma l’Eurozona è per definizione priva di tassi di cambio: e questo cambia tutto. La Francia è un caso emblematico.

La tabella presenta in (a) e (b) una misura (inversa) dell’andamento della competitività: il CLUP = (Salario – Produttività). Come si vede in (c) e (d), in Francia negli ultimi 20 anni la crescita della produttività è stata forse persino superiore a quella della Germania. E il livello medio della produttività (grafico di Picketty) è oggi identico nei due paesi (55 euro l’ora; 42 in Italia).

Nonostante ciò, ai fini della competitività internazionale, la Germania nel 1999-2008 ha più che compensato la minore crescita della produttività agendo sul costo del lavoro e mettendo così fuori mercato la Francia. Questa politica è evidenziata in (e): la crescita salariale in Germania (+1,6% l’anno) è nettamente inferiore non solo a quella francese (3,6%), ma anche alla crescita della produttività tedesca, pari a 2,4% in (c): di essa si appropriano i profitti e le rendite, che in parte la “cedono” per alimentare la competitività (e i fatturati), spingendo l’inflazione nettamente sotto i livelli concordati in Europa. E così la Germania guadagna, col. (a), anno dopo anno 0,6% di competitività (di costo e prezzo) sulla Francia [-0,7 -(-0,1) = -0,6] provocando infine una crisi oltre Reno (10% di disoccupati, debito/Pil in crescita, ecc.). La Francia paga il rifiuto di “svalutare il lavoro” del primo decennio di vigenza dell’euro. Non per nulla le politiche mercantiliste vengono dette “beggar thy neighbour”, frega il tuo vicino.

I lavoratori tedeschi, pur difendendosi molto meglio dei colleghi di altri paesi – almeno hanno evitato la crisi occupazionale – hanno pagato il prezzo delle politiche mercantiliste: la quota di PIL che va a remunerare il Lavoro è scesa di tre punti. E l’ingiustizia sociale, anche in Germania, cresce (grafico).

Con cambi flessibili o regolabili tutto ciò non è e non sarebbe mai successo, o sarebbe presto risolto: un paese che esporta assai più di quanto importa, genera sui mercati valutari un eccesso di domanda per la propria valuta, che apprezza il cambio e annulla il vantaggio competitivo. In tutto il mondo quindi, i Clup tendono a convergere: la globalizzazione non impone una race to the bottom (gara al ribasso) sui salari e le tutele sociali.

Nell’Eurozona invece, in assenza dei cambi, entrano in funzione altri meccanismi automatici di mercato che – molto lentamente – anch’essi tendono a riequilibrare la competitività fra paesi membri. Essi agiscono sul livello generale dei prezzi: nei paesi in surplus tende a salire, e nei paesi in deficit (relativamente) a scendere. Questa cosiddetta “svalutazione interna” è il meccanismo di aggiustamento competitivo previsto dai padri dell’euro. Qual è la sua natura?

(Continua qui).

C'era una volta la Sinistra

di Antonio Padellaro e Silvia Truzzi 12€ Acquista
Articolo Precedente

Il soldato Ryanair si salverà da solo

next
Articolo Successivo

I dieci comandamenti del Dio Mercato (che spedì Donald Trump)

next