Ricordate il testo della più bella canzone di Angelo Branduardi? «Alla fiera dell’Est, per due soldi, un topolino mio padre comprò. E venne il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò… E venne il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò… E venne il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò… E venne il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò».

Sostituite negozio a topo, supermercato a gatto, ipermercato a cane, outlet a bastone e Amazon a fuoco e il gioco è fatto. La modernità invecchia rapidamente, presto sostituita da modernità ancora più moderne. Che cosa rimane?

Il gigantismo sempre crescente della modernità è destinato a lasciare rovine imbarazzanti, la cui rimozione sarà uno dei temi che gli urbanisti e gli architetti, gli ingegneri e i geologi, i pedologi e gli agronomi di domani dovranno affrontare. Insegno da anni che la sostenibilità del progetto di una nuova diga deve anche prevedere la rimozione del manufatto alla fine del suo ciclo di vita, così come deve fare chi progetta un’auto o uno smartphone. Di rado la valutazione economica e sociale dei moderni progetti commerciali ha messo in conto questo aspetto, né i costi prevedibili, né chi li dovrà sostenere. E questa amnesia ha condotto in Italia a un consumo di suolo record, perché gli oneri di urbanizzazione hanno permesso alla politica di finanziare l’inefficienza della burocrazia e le spese correnti, facendo anche cadere una benefica manna sulla municipalità, buona per festeggiare come merita il santo patrono o rendere più competitiva la locale squadra di calcio.

In alcune Regioni italiane sono state da poco introdotti timidi rimedi per salvaguardare l’integrità dei suoli, anche a scopo idrologico, quello che mi sta più a cuore. In altre, come la Liguria, ho visto e vedo tuttora, impermeabilizzare prati e giardini per fare parcheggi. E ridurre le crêuze care a Fabrizio de André a nastri di asfalto e blocchetti di cemento.

Il fenomeno del precoce invecchiamento degli insediamenti urbani non avviene solo Italia, ma è diffuso ovunque. Dalle decine di enormi mall dismessi negli Stati Uniti, alle moderne città fantasma africane e a quelle avveniristiche costruite in zone marginali della Cina, tuttora disabitate: sono già vecchie prima di vivere?

«La nazione che distrugge il suo suolo distrugge sé stessa» scrisse il 26 febbraio 1937 Franklin D. Roosevelt in una lettera ai governatori di tutti gli Stati per promuovere la legge sulla conservazione del suolo (Soil Conservation and Domestic Allotment Act del 29 febbraio 1936, una legge federale che consentiva al governo di pagare gli agricoltori affinché riducessero la produzione al fine di conservare il suolo e preservarlo dall’erosione. Questa considerazione è del tutto valida ancora oggi, giacché anche Papa Francesco ha scritto: «Voglio ricordare che Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione».

Con grande soddisfazione apprendo che il libro di uno dei miei primi allievi del neonato corso di studio di Ingegneria Ambientale (coorte 1986 del Politecnico di Milano) ha ricevuto il Premio Maiella per un saggio sul consumo suolo. Complimenti a Paolo Pileri.

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