Fine pena mai per Raimondo Caputo. Tredici mesi di isolamento e 14 anni per le violenze sessuali che sconterà nel corso dell’ergastolo. Dieci anni di carcere, invece, a Marianna Fabozzi. Questa la sentenza pronunciata dalla quinta sezione della Corte d’Assise di Napoli dopo la camera di consiglio che si è svolta al termine dell’ultima udienza del processo di primo grado per l’omicidio di Fortuna Loffredo. La mamma della piccola, ascoltando la sentenza, è scoppiata in un pianto liberatorio: “Finalmente conosco il nome di chi ha ucciso mia figlia”. La bambina di 6 anni è morta il 24 giugno del 2014 dopo essere stata scaraventata dall’ottavo piano di uno degli edifici del parco Verde di Caivano (Napoli). Lo stesso dove viveva con la madre Mimma Guardato e dove tutti la chiamavano ‘Chicca’. Accolta in pieno, dunque, la richiesta della Procura di Napoli Nord (aggiunto Domenico Airoma, pm Claudia Maone) che per Raimondo Caputo, detto Titò, aveva chiesto l’ergastolo e sei mesi d’isolamento diurno e per la sua ex compagna 10 anni di carcere. Caputo era accusato di aver violentato e ucciso Fortuna e di aver abusato sessualmente di due delle tre figlie minori della ex compagna mentre Mariana Fabozzi, che non era in aula, era imputata per non aver impedito gli abusi su una delle sue bimbe, che pure le aveva raccontato tutto. La donna, tra l’altro, è indagata anche per l’omicidio del figlio, Antonio Giglio, il bimbo di 4 anni morto il 27 aprile 2013 dopo essere precipitato dalla finestra dell’abitazione dei nonni materni, al settimo piano dell’isolato 3 del Parco Verde. L’appartamento dove è stata vista per l’ultima volta anche Fortuna, che era solita giocare proprio con le sorelline di Antonio.

LE REAZIONI ALLA SENTENZA – “Io il mio ergastolo lo sto già vivendo da quando ho perso mia figlia, è giusto che il responsabile passi il resto della sua vita in carcere, è giusto che entrambi paghino”. Queste le parole pronunciate da Mimma Guardato, la mamma di Fortuna, secondo cui è stata fatta giustizia. Caputo dovrà pagare una provvisionale di 50mila euro immediatamente esecutiva alla mamma di Fortuna. “Siamo soddisfatti per questa sentenza, che ci sembra giusta rispetto alla gravità dei reati commessi” ha detto a ilfattoquotidiano.it l’avvocato di Mimma Guardato, Gennaro Razzino, ricordando che “la morte di Fortuna è stata caratterizzata da un’omertà diffusa fin dalla fase delle indagini preliminari, mentre durante il processo ci sono state molte reticenze da parte di testimoni, con gli atti inviati in Procura per falsa testimonianza”.

Per l’avvocato di Raimondo Caputo, Paolino Bonavita “si è voluto dare un nome all’assassino del Parco Verde”. Il legale non fa mistero della delusione per il verdetto. “Cercavano un nome e l’hanno avuto – ha detto a ilfattoquotidiano.it – mi è sembrata più una sentenza mediatica”. Secondo la difesa le tre figlie di Marianna Fabozzi, le testimoni chiave per l’accusa “non sono state attendibili” e “in occasione dell’incidente probatorio si sono contraddette più volte”, mentre Caputo sarebbe diventato “un capro espiatorio in quanto originario di Afragola e non di Caivano”. Quando è morta la bambina, infatti, lui non risiedeva al Parco Verde. Bonavita fa anche riferimento a una presunta rete di pedofili che agirebbe tra quegli edifici popolari e su cui non sarebbero stati eseguiti controlli approfonditi. Anche per l’avvocato Angelo Pisani, che insieme al fratello Sergio assiste il padre di Fortuna, Pietro Loffredo, “i veri colpevoli dell’omicidio di Fortuna sono ancora liberi e la rete di pedofili al Parco Verde è sempre attiva”. D’altro canto lo stesso Caputo, nelle ultime dichiarazioni spontanee rese ai giudici prima del loro ritiro in camera di consiglio aveva ribadito la sua posizione: “Io non ho commesso l’omicidio, sono state dette troppe falsità su di me. È vero, sono un ladro, ma la bambina non l’ho mai toccata”. Quindi è tornato ad attaccare l’ex compagna Marianna Fabozzi. Accolta la richiesta dell’accusa anche per lei, definita dal suo legale, Salvatore Di Mezza, “la prima vera sconfitta di questa storia”. Non avrebbe saputo delle violenze commesse ai danni delle figlie “che – ha aggiunto il legale – quasi sicuramente non vedrà più, perché è difficile un ripensamento da parte del Tribunale dei minori”.

IL PROCESSO TRA OMERTÀ E ACCUSE RECIPROCHE – Raimondo Caputo è stato rinviato a giudizio il 21 settembre dello scorso anno. Si è trattato di un processo molto delicato, pieno di colpi di scena, contraddizioni, accuse reciproche. Un processo che non si sarebbe neppure potuto celebrare se le figlie di Marianna Fabozzi non avessero rotto il muro di omertà che le circondava, raccontando ciò che avevano visto e, in alcuni casi, subìto in prima persona. Testimone chiave contro Caputo è stata soprattutto la maggiore delle tre sorelle, l’amica del cuore di Fortuna che, nel corso di un incidente probatorio un anno fa raccontò di aver visto Caputo che cercava di violentare Chicca sul terrazzo (ma non mentre la scaraventava nel vuoto) e di aver udito l’ultimo straziante urlo della bambina. In quella circostanza, inoltre, la figlia di Marianna Fabozzi riferì che la madre non era presente sul luogo dell’omicidio. Le accuse rivolte a Titò sono state confermate un mese fa in aula da Mario Della Valle, compagno di cella per cinque mesi di Caputo.

Convinta della colpevolezza di entrambi gli imputati anche la mamma di Fortuna, Mimma Guardato. Al contrario, il padre della bambina, Pietro Loffredo, ha sempre sostenuto che la figlia non sarebbe stata uccisa da Titò, ma da un’altra persona che vive nello stesso stabile e con cui Mimma Guardato aveva avuto una relazione, dalla quale è nato un altro figlio. Per questo, come parte civile, Pietro Loffredo non si è associato alle conclusioni del pm sulla responsabilità di Caputo. D’altronde Titò ha sempre respinto l’accusa di omicidio e quella di aver violentato Fortuna, pur ammettendo di aver molestato la figlia maggiore di Marianna Fabozzi e, anzi, ha accusato la sua ex compagna non solo dell’omicidio della bambina, ma anche per la morte del piccolo Antonio Giglio. Ha poi riferito che, quando Fortuna è stata scaraventata dal terrazzo, lui si trovava con una delle tre figlie dell’ex compagna in strada. Una versione che non si discosta molto, se non per alcuni dettagli, da quella data da un altro testimone, Massimo Bervicato, che il 10 gennaio scorso in aula sembrò scagionare l’imputato, salvo poi finire nel registro dei pm per falsa testimonianza.

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