“È tempo di saltare il fosso e fare la differenza”: con questo motto viene annunciata la Marcia per la scienza del 22 aprile, in concomitanza con la Giornata della terra, quando il mondo si interroga sullo stato di salute del pianeta, consapevole che non c’è una terra 2.0.

Gli scienziati americani più sensibili alle implicazioni sociali e politiche del proprio lavoro marceranno a Washington fino al Lincoln Memorial dove nel 1963 Martin Luther King pronunciò la celebre orazione I have a dream. Era la marcia per il lavoro e la libertà in appoggio alla politica kennediana in tema di diritti civili. Ora potrebbe essere il primo passo di un movimento globale per difendere il ruolo della scienza ai fini della salute, sicurezza, economia e governabilità dell’umanità. In palese contrasto con la politica ambientale e scientifica di Donald Trump.

La marcia è una celebrazione della scienza che sottolinea il contrasto tra politici e scienziati emerso negli ultimi mesi ma latente da tempo. Si indirizza non solo ai decisori, ma anche e soprattutto alla gente comune affinché prenda coscienza del ruolo che la scienza gioca nella vita quotidiana di tutti gli abitanti del pianeta. E del rispetto sociale che la ricerca meriterebbe, un riconoscimento che può scaturire soltanto da un profondo sentire comune.

La Marcia reclama perciò il sostegno finanziario della scienza e la comunicazione al pubblico dei suoi risultati quali pilastri della libertà e della prosperità dell’uomo, raccogliendo gruppi di studiosi che sono uniti soltanto dalla propria diversità e dall’assenza di pregiudizi. Uniti per sollecitare politiche diverse dal primato esclusivo e ossessivo della ricerca bellica. Una tendenza in atto già prima che Trump diventasse il 45° presidente degli Stati Uniti. Il fenomeno però non si limita agli Stati Uniti, se un articolo pubblicato da Nature nel dicembre del 2016 titolava: “La pacifica Europa inizia a finanziare la ricerca militare. Era riferito al voto del primo dicembre 2016 con cui il Parlamento europeo approvava ulteriori 25 milioni di euro da destinare al fondo per la Difesa europea, che si prevede raggiungerà i 90 milioni entro il 2020, per salire a 500 milioni all’anno a partire dal 2021.

Se, negli Stati Uniti, Carter e Reagan sono stati i soli presidenti di pace dal dopoguerra mondiale a oggi, poiché tutti gli altri hanno affrontato, nolenti o più spesso volenti, guerre regionali in ogni parte del mondo, per l’Europa la svolta è epocale. E si manifesta nel momento in cui le nazioni europee rischiano l’avvento di governi sovranisti, uniti dal motto per nulla originale di Trump, #mycountryfirst, che fu già intonato in passato su una bellissima melodia di Haydin: “Deutschland über alles, über alles in der Welt”.

La marcia pone ad alcuni puristi il quesito se sia giusto o meno per uno studioso interessarsi di politica. Gli organizzatori della marcia si chiedono invece se, di fronte a una tendenza allarmante di discredito del consenso scientifico e di limitazione alla libertà delle scoperte scientifiche, possiamo permetterci di non parlare in difesa della scienza.

Faccio fatica a ricordare iniziative analoghe nel passato e non ignoro la difficoltà degli scienziati nell’individuare un percorso condiviso e coraggioso, soprattutto nell’era della competizione darwiniana che pervade anche il mondo scientifico: gli studiosi non sempre hanno avuto il piglio di un Wegener ma hanno più spesso interpretato il ruolo di Don Abbondio, quando non si sono immedesimati nel dottor Stanamore.

Ha scritto Philip Ball: “il comportamento dei fisici tedeschi sotto il nazismo non fu un’aberrazione dovuta a circostanze estreme ma un esempio tipico di come scienza e politica interagiscono tra loro”. Si riferiva alle diverse vicende di Peter Debye, il quale nel 1940 salpò definitivamente da Genova per l’America dove contribuì allo sforzo bellico che aveva rifuggito in Germania; del potentissimo Max Planck, che firmò l’espulsione di Albert Einstein dall’Accademia delle scienze e fu sempre incapace di sottrarsi all’influenza della politica al potere; e di Werner Heisenberg, successore di Debye alla direzione dell’Istituto Kaiser Wilhelm, che in tempo di guerra si dedicò agli studi sull’arma finale nucleare: la wunderwaffe del Terzo Reich.

Che questa sia invece la svolta buona?

Anche se la marcia è stata indetta negli Stati Uniti, l’iniziativa ha un seguito planetario, giacché ci saranno in contemporanea più di 500 eventi in città di tutto il mondo. Un incontro globale senza precedenti di scienziati, appassionati e persone consapevoli, uniti per riconoscere il ruolo vitale della scienza e per promuovere il rispetto per la libera ricerca. In Italia, dopo la pigrizia iniziale, sono state organizzate iniziative a Roma, Milano, Firenze, Bologna, Potenza e Caserta.

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