Sono passati solo pochi giorni dall’attesa e temuta sentenza della Consulta sull’Italicum e gli effetti sul sistema politico, in particolare sui due sottoscrittori di quello che fu il patto del Nazareno, sembrano deflagranti.

Per il segretario del Pd la “soddisfazione” di aver visto confermato l’impianto della sua legge elettorale, che secondo i sondaggi ora non lo potrà favorire in alcun modo, si è tradotta a Rimini in un monologo autoreferenziale e soprattutto autorassicurante per rivendicare come “suo” il 40% di Sì al referendum, insultare il “pregiudicato spregiudicato” Beppe Grillo, dileggiare Virginia Raggi, moralizzatrice travolta dal Marra di turno, fare finta di ignorare le conseguenze della sua direzione del partito. E come se prendere un po’ in giro i giornalisti quando gli chiedono del raduno di via Frentani e non nominare Massimo D’Alema, a cui l’istituto di sondaggi Ipr-Tecné attribuisce uno spazio a sinistra che va dal 10% al 14%, bastasse a garantirgli di avere il controllo del partito va avanti tra battute troppo collaudate e spavalderie di cui non sembra essere troppo convinto nemmeno lui.

Quanto la situazione sia diventata critica per Renzi all’interno del Pd, dopo l’annunciata lista di D’Alema che guarda naturalmente al Sud, dove l’ex-rottamatore ha concentrato “il peggio degli ex cuffariani e cosentiniani, mentre la gente per bene se ne va”, lo conferma anche la presa di posizione di Pier Luigi Bersani, quando dice “parlerò con Renzi ma non minaccio e non garantisco nulla”: una posizione molto diversa da quella della battaglia sempre e comunque all’interno del Pd, in nome della “ditta” e incompatibile con qualsiasi ipotesi di scissione. Ora l’ex segretario sembra aver finalmente capito come il primo pericolo da evitare sia sottrarsi all’operazione “divide et impera” che finora Renzi ha sempre felicemente praticato nei confronti di una minoranza quanto mai divisa e spesso indecisa.

Ma se Renzi rischia di deragliare sul voto subito (o presto o quando sarà possibile a seconda delle convenienze del giorno) nella competizione di vitale importanza con i vituperati “populisti”, anche il redivivo “ago della bilancia” fresco di rinvio a giudizio, ancora una volta per corruzione in atti giudiziari nel Ruby-ter, non se la passa benissimo. Rimanere connesso con i suoi alleati “naturali”, e insostituibili se non si ritornerà al voto con un proporzionale puro, dato l’attuale consenso di Forza Italia al 12% secondo Ipr, non sembra per il partito di B. un’impresa facilissima come ha dimostrato l’accoglienza a suon di fischi riservata a Renato Brunetta dalla piazza “sovranista” di Matteo Salvini e della Giorgia Meloni sabato scorso.

E per Silvio barcamenarsi tra la sua esigenza del voto mai o in extremis e l’urgenza di Salvini che ha fissato in proprio la data in aprile sembra un’impresa che lo rende molto nervoso: tanto da definire quella dei potenziali alleati “una manifestazione di quattro gatti neri” nonostante la solidale invettiva leghista contro i magistrati “guardoni” che si accaniscono a spiare la sua vita privata con i soldi dei cittadini.

“Paradossalmente”, se ci si dovesse attenere al coro dominante, non si può negare che ad essere meno sconquassato dal dopo-Consulta è proprio il M5S che è anche il meno responsabile della situazione poco esaltante in cui ci troviamo.

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