Una nota di poche righe per tentare di mettere la parola fine alla scandalosa vicenda delle quattro banche poste in risoluzione nel novembre 2015. A diffonderlo è la Banca d’Italia che, in tono burocratico, comunica che “a conclusione della procedura di dismissione, condotta, secondo quanto previsto dalla normativa, nel rispetto dei principi di apertura, trasparenza e non discriminazione, il Direttorio della Banca d’Italia ha deliberato la stipula del contratto per la cessione a Unione di Banche Italiane (Ubi Banca) di Nuova Banca delle Marche, Nuova Banca dell’Etruria e del Lazio e Nuova Cassa di Risparmio di Chieti”. Via Nazionale sottolinea anche che “verrà immediatamente dato avvio alle procedure autorizzative richieste nei confronti delle altre Autorità e Istituzioni coinvolte, anche europee, e alla fase esecutiva, finalizzata al perfezionamento della cessione che si concluderà nei prossimi mesi”. Per quanto riguarda la quarta banca, “l’impegno dell’Unità di Risoluzione della Banca d’Italia si concentra ora nella chiusura delle trattative in corso con la Banca popolare dell’Emilia Romagna per la cessione di Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara”.

Nessun punto e a capo quindi: la cessione delle tre banche a Ubi è subordinata all’autorizzazione da parte delle autorità europee e alla realizzazione delle condizioni pattuite, tra cui la cessione al Fondo Atlante di 2,2 miliardi di sofferenze lorde attualmente in capo alle tre cosiddette “good bank” e la contestuale ricapitalizzazione delle stesse per 450 milioni ad opera dello stesso Fondo di Risoluzione. Quanto alla Nuova CariFerrara, secondo indiscrezioni si potrebbe arrivare a un accordo con Bper entro la fine di gennaio. Si vedrà. Intanto, il primo problema che si pone è la ricapitalizzazione delle tre banche perché il Fondo di Risoluzione ha sostanzialmente le casse vuote e il sistema bancario – checché il ministro Pier Carlo Padoan parli di “punto di svolta positivo” – ha delle serie difficoltà a finanziare il Fondo dopo che a fine 2015 ha dovuto mettere mano al portafoglio versando tre annualità anticipate per far fronte alle necessità poste dalla procedura di risoluzione delle quattro banche.

Di quei soldi non è tornato indietro nulla (tre banche vengono infatti cedute a Ubi al prezzo simbolico di un euro) e, anzi, se ne sono spesi anche altri per remunerare il finanziamento al Fondo da 1,6 miliardi di euro concesso “a condizioni di mercato” da Unicredit, Intesa Sanpaolo e dalla stessa Ubi (a proposito di trasparenza della procedura, le condizioni di quel finanziamento non sono mai state rese note da Bankitalia e Ubi, come detto, è anche l’acquirente di tre delle quattro banche). Certo, 450 milioni non sono una cifra enorme, ma alla fine chi il metterà? Forse lo Stato, attingendo da quei 20 miliardi stanziati con il decreto “Salva Risparmio”? O ancora le banche, attraverso dei nuovi contributi straordinari al Fondo da scaricare poi sui clienti come accaduto lo scorso anno? Lo vedremo presto in omaggio alla trasparenza di una procedura che trasparente non è, visto che la scorsa estate sono state respinte come “irricevibili” le manifestazioni d’interesse ricevute da alcuni fondi, salvo poi decidere di vendere a Ubi non solo a un prezzo simbolico, ma a condizioni estremamente vantaggiose per l’acquirente che, tra le altre cose, incrementerà di oltre l’1% la propria quota di mercato e incasserà 600 milioni di crediti fiscali. A fronte di ciò l’Unione Europea ha chiesto alla procedura di lasciare aperta ai fondi la possibilità di presentare delle nuove offerte in extremis, per garantire – almeno formalmente – che il processo di vendita abbia rispettato i criteri della concorrenza. Naturalmente non si è più fatto avanti nessuno. Pazienza, perché – proprio come chiosa Bankitalia – la procedura di cessione è stata condotta “nel rispetto dei principi di apertura, trasparenza e non discriminazione”.

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