Il dieselgate colpisce anche il gruppo Fiat Chrysler. E le onde d’urto rischiano di avere conseguenze anche in Europa. L’Agenzia per la protezione ambientale americana (Epa), dopo avere messo sotto accusa Volkswagen nel settembre del 2015, ora fa lo stesso con Fca per l’installazione di alcuni software in grado di disattivare i sistemi di controllo delle emissioni inquinanti in condizioni di funzionamento del veicolo considerate normali. Sistemi di controllo che invece funzionano a pieno regime nel corso dello svolgimento dei test predisposti dalla stessa Epa per verificare se i limiti di legge delle emissioni sono rispettati. Secondo la notice of violation inviata oggi dall’agenzia americana al gruppo Fca, questi software sono presenti su 104mila veicoli dei modelli Dodge Ram e Jeep Grand Cherokee degli anni 2014-2016 non omologati e non commercializzati in Italia. Le accuse mosse in Usa avranno di certo un forte eco anche in Europa, perché sono analoghe alle accuse mosse nei mesi scorsi a Fca da parte delle autorità tedesche. Accuse sulle quali il ministero dei Trasporti italiano ha preso le difese della casa automobilistica, dopo avere peraltro condotto una serie di test che a luglio ha portato alla redazione di un report lacunoso, dove per le auto Fca testate mancano dati presenti invece per le vetture di altri marchi.

L’Epa nei mesi scorsi ha individuato la presenza sui veicoli Fca di alcuni software, denominati Aecd (Auxiliary emission control devices), che non erano stati dichiarati dalla casa automobilistica. Da lì è partita una serie di indagini, che secondo l’agenzia americana hanno dato “prova sufficiente” che i software siano a tutti gli effetti defeat device illegali, ovvero dispositivi di manipolazione delle emissioni analoghi a quelli utilizzati da Volkswagen. In sostanza i dispositivi trovati nelle Fca consentono, in certe condizioni di utilizzo, di ridurre il funzionamento dei due sistemi usati per limitare le emissioni, il sistema Egr (Exhaust gas recirculation) e il sistema Scr (Selective catalyst reduction). Tale riduzione, prevista di solito dai costruttori per ottenere un migliore equilibrio tra limiti alle emissioni e prestazioni del veicolo, porta però nel caso delle auto Fca, secondo le contestazioni dell’Epa, al superamento dei limiti consentiti di emissioni di ossidi di azoto (NOx), considerati particolarmente pericolosi per la salute, “in condizioni che ci si può ragionevolmente aspettare di incontrare nel corso di un utilizzo normale del veicolo”. E quindi non solo in casi eccezionali. La riduzione del funzionamento dei sistemi di controllo delle emissioni non è invece attiva nelle condizioni che si hanno in fase di test, quando le soglie risultano rispettate.

Le accuse dell’Epa? Simili a quelle mosse da Berlino  La disattivazione o modulazione dei dispositivi di controllo delle emissioni attraverso defeat devices in condizioni di utilizzo del veicolo considerate normali – si legge nell’atto di accusa dell’Epa – è vietato a meno che “non possa essere giustificato in termini di protezione del veicolo contro danni o incidenti”. Ma questo, secondo l’Epa, non è il caso dei veicoli Fca. Su questo punto è opportuno fermarsi un attimo. Perché la normativa americana è analoga a quella europea, che nel regolamento sulle omologazioni del 2007 stabilisce una sorta di deroga al divieto di dispositivi di manipolazione, qualora questi siano giustificati dalla “necessità di proteggere il motore da danni o avarie e di un funzionamento sicuro dei veicoli”. E questa è proprio l’argomentazione con cui Fca si sta difendendo in Europa dall’accusa di utilizzare defeat devices mossa nei mesi scorsi da Berlino. Le autorità tedesche hanno infatti riscontrato su alcune vetture Fiat la “disattivazione” dei sistemi di controllo delle emissioni dopo 22 minuti dall’accensione, giusto due minuti in più della durata del test di omologazione Nedc in vigore oggi nell’Unione europea. Da questa accusa Fca si è sinora difesa sostenendo che non si deve parlare di “disattivazione”, ma di “modulazione”, e che tale modulazione è necessaria per proteggere il motore da guasti. Una linea che trova concorde il ministero dei Trasporti, ente omologatore in Italia, come ribadito proprio giovedì dal viceministro Riccardo Nencini nel corso dell’audizione davanti alla commissione Emis (Emission Measurements in the Automotive Sector), la commissione d’inchiesta del Parlamento europeo nata dopo lo scandalo sui motori truccati da Volkswagen per portare avanti un’indagine sulle vetture in circolazione nel nostro continente.

I buchi nel report del ministero italiano – Nencini, davanti agli eurodeputati, ha dovuto rispondere anche delle lacune e delle stranezze del report compilato dal ministero lo scorso luglio, con i risultati dei test eseguiti in Italia su 14 modelli, di cui 7 Fca. Seppure in presenza di funzionari del ministero, le auto Fiat Chrysler, a differenza di tutte le altre, sono state testate in strutture della stessa casa automobilistica anziché all’Istituto motori del Cnr. Nei grafici e nelle tabelle del report, inoltre, mancano diversi dati relativi ai modelli Fca che invece sono presenti per gli altri marchi. Di qui l’accusa mossa da parte dell’associazione Cittadini per l’aria e dal M5S, rappresentato in commissione Emis dall’eurodeputata Eleonora Evi, di voler coprire Fca, che nonostante i dati omessi nel rapporto è la casa con i peggiori risultati in quanto a emissioni di NOx.

Sforamenti generalizzati dei limiti di emissioni in condizioni diverse da quelle del test di omologazione avvengono comunque non solo per Fca, ma anche per gli altri marchi. In ogni caso, i risultati dei test hanno portato il ministro Graziano Delrio ad escludere l’utilizzo di defeat devices illegali “nei modelli diesel di altre case, a parte su quelli Volkswagen già identificati”. Ma questa valutazione è stata messa in dubbio da Maria Vittoria Prati, che come responsabile delle attività sulle emissioni dei veicoli dell’Istituto motori del Cnr ha contribuito ai test del ministero: “Abbiamo concluso che non siamo riusciti a capire se vi fossero o meno defeat devices”, ha infatti detto Prati nel corso di una conversazione telefonica con ilfattoquotdiano.it.

La posizione di Fca: “Nessun defeat device” – Tornando alle accuse dell’autorità americana, dopo avere ricevuto la notice of violation Fca ha risposto con un comunicato in cui sostiene che “i veicoli diesel della società rispettano tutte le normative applicabili” e nega l’utilizzo di defeat devices: “I motori diesel di Fca US – si legge nella nota – sono equipaggiati con hardware di controllo delle emissioni all’avanguardia, ivi incluso la tecnologia selective catalytic reduction (Scr). Ogni costruttore automobilistico deve utilizzare varie strategie per controllare le emissioni al fine di realizzare un equilibrio tra le prescrizioni di Epa relative al controllo delle emissioni di ossidi di azoto (NOx) e le prescrizioni relative alla durata, prestazioni, sicurezza e contenimento dei consumi. Fca US ritiene che i propri sistemi di controllo delle emissioni rispettino le normative applicabili”. Per questo il gruppo “auspica fortemente di poter avere quanto prima la possibilità di incontrare l’enforcement division dell’EPA e i rappresentanti della nuova amministrazione, per dimostrare che le strategie di controllo di Fca sono giustificate e pertanto non costituiscono defeat devices in base alla normativa applicabile”.

@gigi_gno

Articolo Precedente

Banche, “il sistema sta voltando pagina”. Il libro dei sogni di Padoan e la dura realtà

next
Articolo Successivo

Nozze Banco-Bpm, Procura Milano apre un fascicolo d’indagine per aggiotaggio

next