Non è un’offerta, è un tentativo di esproprio ai danni dei risparmiatori. Il Monte dei Paschi di Siena è alla canna del gas e, vista l’impossibilità di trovare investitori disposti a coprire l’ennesimo aumento di capitale, prova a “tosare” gli obbligazionisti, tra i quali spiccano decine di migliaia di piccoli risparmiatori. Come previsto, infatti, l’istituto guidato da Marco Morelli, su consiglio degli advisor Jp Morgan e Mediobanca, estenderà la conversione delle obbligazioni subordinate agli investitori retail. Un “bail-involontario, insomma, per cercare di evitare che la banca finisca in risoluzione. Il meccanismo è semplice. Chi possiede obbligazioni subordinate sarà tenuto a scegliere tra due mali: consegnare i propri titoli alla banca e ricevere in cambio azioni di nuova emissione, oppure non consegnarli con il rischio che l’operazione fallisca e che le obbligazioni vengano cancellate con un tratto di penna come già capitato ai risparmiatori coinvolti nel salvataggio di Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti.

Nel lungo comunicato emesso in nottata dall’istituto senese si legge chiaramente che se l’offerta di conversione “non avesse un esito soddisfacente secondo il giudizio in buona fede di ciascuno dei membri del consorzio che agiscono in qualità di global coordinators, verrebbe meno anche l’impegno dei garanti a sottoscrivere un contratto di garanzia per l’eventuale ammontare dell’aumento di capitale non sottoscritto e di conseguenza l’offerente non riuscirebbe verosimilmente a portare a termine l’aumento di capitale”. In questo caso, MontePaschi “non potrebbe completare il deconsolidamento del portafoglio Npl. Ciò potrebbe comportare che il medesimo divenga soggetto ad azioni straordinarie da parte delle autorità competenti, che potrebbero includere, tra le altre, l’applicazione degli strumenti di risoluzione”.

I bond per i quali è prevista la conversione hanno un valore nominale di 4,3 miliardi di euro e per quasi la metà sono nelle mani del retail, in molti casi dei correntisti stessi della banca, indotti nell’ormai lontano 2008 ad acquistare le obbligazioni che l’istituto ha emesso per finanziare l’acquisizione di Antonveneta. L’emissione Upper Tier 2 2008-2018, con un valore nominale superiore ai 2 miliardi di euro, è stata venduta direttamente allo sportello ed era sottoscrivibile per importi a partire dai 1.000 euro. Facile immaginare chi ce l’abbia in portafoglio. Il MontePaschi guidato da Morelli punta a terrorizzare i piccoli risparmiatori per indurli a convertire i bond e salvare la baracca, mentre governo e autorità di controllo tacciono e incrociano le dita perché nessuno ha preso l’impegno di partecipare all’operazione. Lo stesso ministero del Tesoro, che di Mps è il primo azionista con il 4% e che all’assemblea del 24 novembre voterà a favore dell’estensione ai piccoli risparmiatori del bail-in “volontario”, non ha ancora assunto alcun impegno a proposito della propria quota, ma intanto decide come condurre il salvataggio e a chi farlo pagare. Anche lo pseudo-consorzio di garanzia capitanato da Jp Morgan e Mediobanca non ha sottoscritto alcun impegno sull’inoptato e si tirerà prontamente indietro se l’esito dell’offerta di conversione dei bond subordinati non fosse entusiasmante. Significativo è che non sia stato fissato un livello minimo di adesioni oltre il quale l’offerta di conversione possa essere ritenuta soddisfacente e che a esprimere il giudizio – in buona fede, ça va sans dire – sull’esito dell’operazione siano le stesse banche che dovrebbero poi impegnarsi a formare il consorzio di garanzia per l’aumento.

Ai titolari di obbligazioni subordinate verranno lasciati pochi giorni per decidere. L’operazione di conversione verrà deliberata il 24 novembre e dovrebbe chiudersi ai primi di dicembre, ma non è detto che parta subito in quanto il prospetto informativo deve essere ancora approvato dalla Consob, che peraltro in passato ha sanzionato MontePaschi per ripetute e gravi violazioni del Testo Unico e della Mifid. Un prospetto complesso sia per i rischi intrinseci dell’operazione (anche in caso di conversione dei bond subordinati non è detto che l’aumento vada a buon fine), sia per la natura stessa dell’offerta che pretende di scambiare bond un tempo venduti ai risparmiatori come “sicuri” con una penny stock altamente volatile, un’azione da pochi centesimi che sale e scende del 20% al giorno. Che fine fa la tutela del pubblico risparmio e, soprattutto, cosa farà chi lo deve tutelare?

In attesa di poter rispondere a questa domanda, vale la pena chiedersi se la pistola che il Tesoro e la banca senese  puntano alla tempia dei risparmiatori non sia in realtà una pistola scarica. Sicuramente l’idea di promuovere una sorta di bail-in volontario non gioca a favore del governo, soprattutto alla vigilia del voto referendario. Difficilmente questa mossa può essere fatta passare per “un’opportunità” offerta ai titolari di bond MontePaschi e, anzi, a un anno di distanza dal decreto “Salvabanche”, con i risparmiatori truffati che ancora aspettano il decreto sugli arbitrati, si tratta a tutti gli effetti di un autogol. E’ un’ammissione di impotenza, di inadeguatezza e di incapacità nel gestire le crisi e i loro effetti. Ciò detto, però, occorre anche valutare perché il governo ha deciso di sacrificare gli obbligazionisti retail e cosa accadrebbe se l’aumento di capitale di MontePaschi non andasse a buon fine.

A fronte dell’indisponibilità di investitori e banche, c’è davvero solo il bail-in? Assolutamente no. Il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan ha detto a più riprese che MontePaschi non finirà in risoluzione e che la direttiva europea Brrd prevede esplicitamente la possibilità di escludere il ricorso al bail-in in casi di estrema gravità, tali da determinare un “ampio contagio” e gravi perturbazioni sui mercati finanziari in ragione della “rilevanza sistemica delle controparti a rischio dissesto”. MontePaschi è la terza banca italiana e un suo crac avrebbe conseguenze devastanti sulle altre banche e sull’economia tutta. L’alternativa al bail-in – che minerebbe definitivamente il poco di fiducia rimasta nel sistema – è la nazionalizzazione. Non a caso a giugno il governo aveva ventilato un piano pubblico a sostegno delle banche” da attivare in caso di necessità, giusto per sondare il terreno a Bruxelles. Ora appunto, con il caso MontePaschi che sta arrivando al dunque, quel sostegno pubblico torna di attualità. Si tratta dell’ultima carta che resta in mano a Palazzo Chigi. Una carta da giocare come extrema ratio, anche perché con ogni probabilità Bruxelles non ha concesso alcunché a Roma e il rischio – giocandola – è di arrivare allo scontro frontale con la Commissione con elevate probabilità di insuccesso. Ecco perché ora il governo preferisce incrociare le dita e sperare che il sacrificio degli obbligazionisti di Siena sia sufficiente per andare avanti.

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