Cineasta di culto all’estero, Xavier Dolan, giovanissimo autore canadese già arrivato al suo sesto film (a 26 anni), è stato finora quasi un clandestino sul nostro mercato, fatta eccezione per Mommy, premiato a Cannes un paio di anni fa e poi uscito in sala anche in Italia. Ora, sulle ali del nuovo riconoscimento ottenuto a Cannes dall’ultimo film, Juste la fin du monde, intensa riflessione sulle difficoltà di comunicazione nella famiglia, la distribuzione recupera alcuni dei film precedenti di Dolan. Operazione doppiamente meritoria perché, oltre a rivelare la qualità di questo autore, rivitalizza l’asfittico panorama estivo.

Dunque Tom à la ferme, quarto film del prolifico regista, presentato a Venezia nel 2013, è nelle sale dal 7 luglio, dopo l’uscita qualche settimana fa di un altro film di Dolan, Laurence anyways.

Tom, Francis, Agathe e Sarah sono i quattro personaggi attorno a cui ruota tutta la drammaturgia del film, tratto da una pièce teatrale. Sono quattro personaggi che si affacciano sul vuoto, su un buio esistenziale che non sanno riempire completamente e che si è rivelato alla morte di Guillaume, fratello di Francis e figlio di Agathe. E’ quell’evento che fa intrecciare i destini dei quattro, facendoli riunire nella fattoria dove vivono Francis e Agathe. Guillaume era stato l’amante di Tom, ma quella relazione era nota solo a Francis, il cui passato è oscurato da un velo di mistero. Tom, che viene dalla città – fa il copy in un’agenzia di pubblicità – piomba in una realtà che gli è incommensurabilmente lontana: ci arriva infatti dopo aver percorso strade affiancate da lande agricole desertiche che Dolan inquadra dall’alto con immagini che ricordano The straight story di Lynch. In quell’ambiente così estraneo, nel quale si vive il lutto di una perdita, i silenzi tra Tom e i due familiari di Guillaume riempiono spazi altrimenti non colmabili.

Dolan è un maestro nel dipingere relazioni fatte di difficoltà a comunicare, anche quando questa difficoltà è coperta dal suo opposto, una sorta di bulimia della parola e dell’immaginazione che prende a volte Tom e gli fa raccontare dettagli della presunta relazione tra Guillaume e Sarah, la ragazza spacciata per la fidanzata di fronte alla madre. Soprattutto Dolan, nonostante la giovane età, appare un cineasta più che maturo nella sua capacità di trasformare quei vuoti esistenziali in inquadrature di forte valenza pittorica (certe immagini fanno pensare a Hopper). E nel costruire un universo chiuso, opprimente e violento dietro l’apparente placido scorrere della vita di campagna, nella quale la figura della madre domina come presenza castrante. In questo ambiente dagli echi hitchcockiani (non solo per l’ovvio motel di Psyco, ma anche per certe inquadrature molto sapientemente cinematografiche che fanno pensare a Intrigo internazionale o a Marnie), Tom cerca di sfuggire a un destino che sembra stringersi attorno a lui, e lo fa anche ricorrendo a Sarah. Con una impressionante varietà di registri – dal drammatico all’ironico, dal riflessivo allo spudoratamente falso – il protagonista, interpretato dallo stesso Dolan, si destreggia con abilità, sensibilità e un pizzico di cinismo. Solo alla fine, in un excipit che non riveliamo, il cerchio del passato, soprattutto di quello di Francis, si chiuderà.

Straordinario film di genere, noir psicologico carico di cinema, Tom à la ferme anticipa certe suggestioni e soprattutto la finezza di analisi di Juste la fin du monde, film che, se ce ne fosse stato bisogno, ha riconfermato Dolan a Cannes quest’anno e che presto vedremo in sala. Dolan sa fare vero cinema con pochi mezzi, un cinema “da camera” da degustare come un buon vino d’annata. Un cinema che entusiasmerà i cinefili che lo potranno vedere.

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