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‘Desconocido’, scandali bancari al cinema: gli spagnoli lo fanno meglio

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Gli spagnoli lo fanno meglio: il genere. La isla mínima di Alberto Rodríguez ha recentemente tradotto la drammaturgia thriller in j’accuse sociopolitico, puntando il dito contro il passato (presente) franchista: una specie di True Detective alle foci del Guadalquivir, senza vezzi estetici, ma con rimandi etici. Un altro trionfatore ai Goya, gli Oscar iberici, è in arrivo il 21 aprile nelle nostre sale: Truman, per la regia di Cesc Gay, toglie melassa e ricatti a un sottogenere massicciamente abitato Oltreoceano, il cancer-movie, e lo riscopre grimaldello esistenziale, apologo umanissimo, speranza di vita.

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Ma pensarlo applicabile solo ai massimi sistemi o al modernariato sarebbe sbagliato, il genere nella Spagna odierna è strumento privilegiato, come fu nella migliore tradizione ’60-’70 italiana, per raccontare diversamente quel che troviamo sui giornali, raccogliamo da un amico, viviamo in prima persona: il titolo non inganni, perché Desconocido ci conosce benissimo, e molto probabilmente possiamo ricambiare. A non restituire il favore, viceversa, è il nostro cinema, sebbene l’Italia sia quella di Banca Etruria, della Popolare di Vicenza, del Monte dei Paschi. Sì, Desconocido – Resa dei conti parla di banche, ma – osserva il regista esordiente Dani de la Torre – è “la storia di una vendetta. Dove il carnefice è la vittima, e la vittima il carnefice”. Com’è possibile questa alternanza o, meglio, ambivalenza? Discendendo la catena alimentare, ovvero sostituendo ai banchieri i bancari: gente come noi, ma dall’altra parte dello sportello. Questo film, questo cinema vuole tornare al corpo a corpo, dando un volto e possibilmente una coscienza al nemico, anziché consegnarsi all’anonimato di quelle armi di distruzione di massa che sono (stati) i derivati. Se la produzione nostrana continua a osservare un religioso silenzio, questa “Fase 2” della crisi finanziaria sul grande schermo non è prerogativa spagnola, ma sta attecchendo a Hollywood.

Nonostante i conflitti d’interesse degli studios, accanto al chiaroscuro morale di The Wolf of Wall Street (2013, regia di Martin Scorsese) le macchine da presa stelle & strisce hanno inquadrato gli effetti sociali devastanti del crac dei subprime con 99 Homes (2014, regia di Ramin Bahrani), sono entrate nella stanza dei bottoni con il documentario Inside Job (2010, regia di Charles H. Ferguson) e il dramma Margin Call (2011, regia di J.C. Chandor) e, un mese fa, hanno guadagnato l’Oscar per la sceneggiatura non originale con La grande scommessa (The Big Short, regia di Adam McKay), capace di passare sotto la lente d’ingrandimento fondi e prestiti, obbligazioni di mutui e derivati di copertura con una sintassi cinematografica avvincente. Il definitivo “corpo a corpo” lo troveremo a Cannes, e dal 12 maggio sui nostri schermi: Money Monster, diretto da Jodie Foster, fa del guru finanziario televisivo George Clooney l’ostaggio di uno spettatore che, seguendone i consigli, ha perso tutti i propri risparmi. Basta sostituire lo studio tv di Clooney e Julia Roberts con l’abitacolo di una BMW X5, ed ecco Desconocido, thriller – letteralmente – esplosivo scritto dall’italiano Alberto Marini, che prima di arrivare alla “stretta bancaria” gioca con i topoi americani del genere e quindi con la cornice familiare.

Magnificamente interpretato da Luis Tosar (Cella 211), il protagonista Carlos è un funzionario di banca rispettato e rampante, con bella famiglia, bella casa e qualche scricchiolio coniugale: una mattina, mentre accompagna i figli a scuola, un cellulare squilla sul sedile anteriore destro e una voce sconosciuta gli intima di effettuare alcuni versamenti su un conto, altrimenti salterà in aria con i bambini. Già, sull’auto sono state piazzate delle bombe: la corsa contro il tempo è iniziata, ma chi c’è all’altro capo del telefono? Colpi di scena financo eccessivi e snodi di sceneggiatura perfettibili, poco importa: è “cinema del reale”, questo. E solo la prodigiosa empatia di Tosar ci fa preoccupare per la sorte del bancario, reo confesso di pratiche fraudolente promosse dai capi, perché sotto il culo di Carlos brilla la giustizia fai-da-te. A quando i banchieri?

Da il Fatto Quotidiano di giovedì 31 marzo 2016

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