L’andazzo delle ferrovie pugliesi, Sud Est, non appartiene alla sfera dei misteri italiani, come qualcuno ha scritto commentando la disastrosa gestione degli ultimi decenni della compagnia di proprietà del Ministero dei Trasporti, ma alla consolidata pratica del consociativismo. Non era assolutamente un mistero per nessuno quello che succedeva nella ferrovia che gestisce mille km di binari, con 1.393 addetti diretti. Finalmente il proprietario dell’azienda, il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, ha preso atto dell’assurda gestione che, oltre a produrre enormi debiti, offre ai pendolari un servizio inefficiente e modesto sotto il profilo qualitativo e quantitativo. Come possa essere stata possibile una gestione ventennale dell’amministratore unico con stipendi (sotto varie forme) d’oro non è certo un mistero. I protagonisti della vicenda, al di là delle responsabilità dirette che un’indagine della magistratura ha avviato sull’acquisto di treni all’estero, sono almeno altri due, consapevoli di tutto ciò che stava avvenendo, almeno sotto il profilo dello sfascio tecnico e finanziario della compagnia ferroviaria.

Ferrovie Sud-Est

Entra in ballo direttamente la Regione Puglia che è stata in questi anni un compratore diretto dei servizi (in gergo km/treno) attraverso una serie di contratti di servizio della durate di sei anni. La Regione, di fatto con il contratto di servizio, avvallava la situazione, comprando servizi inefficienti a costi elevati. Sotto l’egida del monopolio ferroviario, la Regione, anziché fare una gara per l’affidamento del servizio consigliata dall’Antitrust e prevista dalla normativa europea ed italiana, ha preferito essere protagonista del fallimento del federalismo dei trasporti. I contributi pubblici di esercizio andavano in fumo per sostenere gli alti costi di dirigenti, addetti, fornitori di materiali e servizi. Le spese maggiori erano per il carrozzone aziendale e poi le briciole andavano alla soddisfazione (si fa per dire) dei pendolari.

Anche i sindacati erano consapevoli della situazione drammatica dell’azienda. Basta pensare alle 1.400 cause del lavoro in un’azienda con 1.393 addetti. Il modello contrattuale poggia sulla contrattazione integrativa che incide sul 25% del costo del lavoro. Come è noto, essa si basa sull’aumento della produttività e il raggiungimento di nuovi obiettivi di efficienza in cambio di più salario o di migliori condizioni normative. In questo caso è evidente che la produttività si riduceva e il servizio peggiorava. Dunque Ministero, Regione e sindacati, ai diversi livelli e con responsabilità diverse, erano ben consapevoli dell’andazzo.

C’è infine da considerare che questa situazione di inefficienza ha finito con il contagiare anche i pendolari. Lo scambio non scritto, che normalmente avviene nei paesi europei, è il seguente: alte tariffe a fronte di servizi di qualità elevata. Alle Sud Est invece lo scambio è: basse tariffe, alta evasione in cambio di un servizio scadente. Così si è retto un equilibrio paradossale per molti anni ed è ancora ben presente in tante realtà regionali.

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