“Dopo due guerre mondiali devastanti, ci sono voluti molti anni per abolire le frontiere, garantire la sicurezza e rafforzare la fiducia. La creazione dello spazio Schengen costituisce una delle principali realizzazioni dell’Ue ed è un processo irreversibile”. Firmato: Dimitris Avramopoulos, commissario Ue per la migrazione, gli affari interni e la cittadinanza, in un documento pubblicato sul sito della Commissione che racconta i vantaggi derivanti dall’apertura delle frontiere in 26 Paesi europei, di cui 22 membri della Ue. “Un’Europa senza frontiere interne apporta notevoli benefici anche a livello economico, il che dimostra quanto tangibile, popolare ed efficace sia la creazione dello spazio Schengen, nonché l’importanza che esso riveste per la nostra quotidianità e le nostre società”, aggiunge Avramopoulos. Non è certo un caso se il pamphlet è stato diffuso mentre il trattato sulla libera circolazione traballa sotto gli urti del terrorismo e della crisi dei rifugiati.

E’ difficile, però, quantificare gli effetti negativi di una sua sospensione o peggio di un abbandono. Davanti a una situazione del tutto inedita e la cui evoluzione appare imprevedibile, le stime sono volatili. Il Fondo monetario internazionale, al momento della creazione dello spazio Schengen, aveva previsto un incremento del Pil dell’area compreso tra 1 e 3 punti percentuali, che ai valori attuali equivarrebbero a 30-90 miliardi di euro, grazie al maggior interscambio dovuto alla libera circolazione.

Fondazione Bertelsmann: “Tra 2015 e 2025 oltre 1.400 miliardi di perdite” – Molto più nette le ultime stime diffuse dalla Bertelsmann Foundation, che arriva a calcolare una perdita fino a oltre 1.400 miliardi di euro per l’economia europea nell’arco di dieci anni, a causa dell’incremento dei prezzi e del calo della domanda. Secondo lo studio, prodotto dall’istituto di ricerca tedesco Prognos, l’impatto sull’Italia sarebbe compreso tra circa 50 e 150 miliardi di euro, mentre Germania e Francia, da qui al 2025, potrebbero veder sfumare rispettivamente 235 e 244 miliardi di euro. Per Stati Uniti e Cina la perdita cumulata toccherebbe i 280 miliardi di euro. L’export dei Paesi Ue verso altri Paesi Ue ammonta a oltre 2.900 miliardi di euro, circa i due terzi delle esportazioni totali.

Dai rallentamenti negli scambi impatto diretto tra 5 e 18 miliardi – Secondo stime riportate dall’Ispi, l’Italia esporta verso altri paesi Ue beni per 208 miliardi, quasi il 55% delle proprie esportazioni. Sono valori di poco inferiori, ma comparabili, a quelli della Germania (58%), della Francia (60%) e della Spagna (62%). I controlli alle frontiere porterebbero a rallentamenti degli interscambi che oggi coinvolgono 1,7 milioni di lavoratori transfrontalieri e determinano 57 milioni di movimenti di trasporto stradale transfrontaliero all’anno. E’ probabilmente solo a questi che pensa il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker quando afferma che le stime in suo possesso rivelano una perdita di 3 miliardi di euro all’anno. In un’altra occasione, al Parlamento europeo, lo stesso Juncker aveva dichiarato che un’ora di ritardo equivale a un costo stimabile in 55 euro per veicolo. Complessivamente la Commissione europea stima un impatto compreso tra i 5 e i 18 miliardi di euro solo di costi diretti.

Per France Strategie impatto da 110 miliardi. Senza considerare i flussi finanziari – Ma è evidente che i riflessi sono difficili da prevedere: come stimare altrimenti le perdite derivanti dal trasporto di beni deperibili attraverso più frontiere all’interno dell’Europa? E come calcolare l’impatto che più barriere potranno avere sul turismo? Il think tank governativo francese France Strategie ha identificato nel breve termine che le perdite per il turismo (50%) saranno almeno pari a quelle legate al lavoro transfrontaliero (38%) e al commercio (12%). Nel lungo termine il peso del commercio crescerebbe e la perdita al 2025 per la Ue viene stimata in 110 miliardi (meno del 10% di quanto indicato dalla Bertelsmann), al netto di ulteriori ripercussioni sugli investimenti e sui flussi finanziari, tutti ancora da scoprire. Così come appare impossibile stimare le ricadute sui sistemi di sicurezza e di controllo unificato che sono stati introdotti sul traino di Schengen. “Gli Stati Schengen condividono una frontiera esterna comune di cui, per la mancanza di controlli alle frontiere interne, sono congiuntamente responsabili, al fine di garantire la sicurezza all’interno dello spazio Schengen” si legge ancora nel documento a firma Avramopoulos. Gli fa eco, in una risoluzione del 17 febbraio a difesa di Schengen, il Comitato economico e sociale europeo, organo consultivo dell’Unione Europea: “La forza e la tenuta dello spazio Schengen non possono ridursi a quelle del suo anello più debole. Proteggere le frontiere dell’Ue dovrebbe essere un impegno comune, e tutti gli Stati membri dovrebbero condividerne la responsabilità”.

Su le spese per la sicurezza – Per compensare l’assenza di controlli interni alle frontiere sono stati nel tempo introdotti diversi sistemi informatici, dal SIS II (il sistema di informazione Schengen di seconda generazione, nel 2013), che consente di effettuare e consultare segnalazioni relative a persone scomparse, a persone o oggetti connessi a reati e a cittadini di paesi terzi non autorizzati ad accedere allo spazio Schengen o a soggiornarvi, al sistema di informazioni visti Vis, che connette i consolati degli Stati Schengen nei Paesi che non fanno parte dell’Ue, le autorità nazionali e tutti i punti di attraversamento delle frontiere esterne degli Stati Schengen. Consente alle autorità degli Stati Schengen competenti in materia di visti di condividere informazioni sulle domande di visto, alle guardie di frontiera di avvalersi di dati biometrici (ad esempio, le impronte digitali) e alle autorità competenti di identificare le persone che si trovano nello spazio Schengen senza documenti o con documenti fraudolenti. Entrambi i sistemi si aggiungono ai più datati ma sempre attivi Eurodac e DubliNet: i costi di tali sistemi, che presumibilmente non verranno accantonati ma rafforzati, rappresentano solo una minima parte della spesa delle istituzioni europee per la sicurezza.

La nuova guardia costiera Ue costerà 280 miliardi l’anno – Il Fondo di sicurezza interna stanziato dalle istituzioni Ue per il periodo 2014-2020 vede un ammontare di 2,76 miliardi di euro nel capitolo “Frontiere e Visti” e di un miliardo nel capitolo “Polizia”. Mentre il programma Frontex, il cui scopo è il coordinamento del pattugliamento delle frontiere esterne degli Stati della Ue e l’implementazione di accordi con i Paesi confinanti con l’Unione europea per la riammissione dei migranti extracomunitari respinti lungo le frontiere, ha già visto crescere con percentuali in doppia cifra il suo budget negli anni, arrivando nel 2016 a 254 milioni di euro. Nonostante ciò si appresta a essere sostituito dalla European border and coast guard agency, che secondo le stime costerà 280 milioni di euro all’anno, impiegando mille persone rispetto alle 400 di Frontex. Briciole per l’ex presidente del comitato Bilancio della Commissione europea, Alain Lamassoure: “Siamo lontani dai 32 miliardi di dollari che gli Stati Uniti spendono per il controllo delle frontiere. Noi ci arriveremo: solo il costo diretto dei rifugiati, nel 2015, è stato di 30 miliardi”.

Articolo Precedente

Poste, il Tar costringe Caio a rivedere piano: “Non chiuda uffici nei piccoli centri, lede il servizio universale”

next
Articolo Successivo

Pil, Istat rivede al rialzo il dato sul 2015: “Su di 0,8%. Ma resta più basso che nel 2000. Pressione fiscale cala di 0,3%”

next