58.840.000 euro più Iva. Tanto costerà ai contribuenti sardi la inutile ristrutturazione totale (rudemente tradotta in “revamping”) dell’inceneritore di rifiuti della zona industriale cagliaritana.

Poteva essere l’anno della svolta: il bruciatore di rifiuti di Machiareddu da rottamare (obsoleto ed usurato, costretto a continue soste di riparazione – 25 nell’ultimo anno – con un costo medio annuo, per le fermate, di 750.000.000 euro), la pressione crescente dell’Unione Europea per una politica dei rifiuti più razionale (che dissuade l’incenerimento a vantaggio del riciclo), ma soprattutto una nuova sensibilità ecologica tra i sardi.

Le condizioni ideali per lanciare la raccolta differenziata integrale, sfruttare le belle esperienze di tanti comuni del territorio che applicano la differenziata da decenni (una decina ha superato il 75% di differenziata), con costi ridotti per i cittadini, meno residui da bruciare o buttare in discarica, il riutilizzo sistematico e razionale della mezza tonnellata scarsa di rifiuti che ogni sardo produce all’anno. Ed, infine, la realizzazione di impianti di smaltimento con tecnologie disponibili, efficaci e meno costose ed invasive per l’ambiente ed i cittadini, rispetto a quello di Macchiareddu.

La Regione, invece, con l’assenso silenzioso degli amministratori cagliaritani, ha deciso che bruciare i rifiuti non è demenziale. Un piano approvato dalla giunta nel 2014 mette sulla carta obiettivi ambiziosi (ridurre della metà i rifiuti urbani prodotti, aumentare le quote di riciclo, addirittura creare un marchio doc per il compost sardo), ma le risorse principali sono destinate proprio agli impianti di incenerimento. Alla faccia dell’Unione Europea, che ha rifiutato di finanziare l’operazione perché non conforme alle proprie direttive.

L’incenerimento, a prescindere dalla tecnologia e del materiale impiegato per la combustione, produce ceneri e fumi inquinanti contenenti polveri sottili.

Il piano Regionale prevede il potenziamento del brucia-rifiuti di Macchiareddu, capace di ridurre in cenere e liquami (un quarto del totale è da mandare in discarica) 124 mila tonnellate all’anno (delle 123 mila tonnellate di rifiuti indifferenziati prodotti nel cagliaritano nel 2013), cui vanno aggiunte le diecimila tonnellate di compost che nessuno vuole, e che il Tecnocasic brucia.

Poiché le percentuali di riciclaggio dovrebbero continuare a crescere, e la quantità di rifiuti indifferenziati ridursi, Macchiareddu servirà per bruciare rifiuti prodotti altrove, accrescendo magari i ricavi da energia elettrica (un sottoprodotto della combustione dei rifiuti) ma anche il pesante carico ambientale per il territorio del cagliaritano, oltre a disincentivare chi, responsabilmente, ha lavorato per aumentare le quote di rifiuti riciclati e l’educazione ambientale dei cittadini.

Nei 18 mesi di fermata degli impianti è poco evidente, ma certo, il destino in discarica delle 200.000 tonnellate non trattate da smaltire.

Assenti dalla discussione gli amministratori del Comune di Cagliari, maggiore azionista del Tecnocasic (gestore dell’impianto) e primi tributari che per cinque anni hanno, malgrado un chiaro ordine del giorno consiliare del 2011, prodotto chiacchiere sulla raccolta differenziata con il porta a porta. Zedda ed il Pd hanno accettato di far pagare ai propri cittadini la tassa sui rifiuti più alta in Italia, viziandoli alla raccolta indifferenziata con i cassonetti in strada. 

La giunta Zedda/Pd ha proseguito la politica di disinteresse delle precedenti giunte di centrodestra, non intervenendo sul bruciatore di Macchiareddu.

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