Cultura

Teatro dell’Arte di Milano, la “minuta retrospettiva” dell’Office for a Human Theatre: tutto è perduto fuorché l’assurdo

Che generazione è quella dei venti-trentenni? Gli spettacoli firmati dal direttore artistico del progetto Filippo Andreatta, cancellano l'immagine dominante della meglio gioventù, felice di misurarsi nella spasmodica ricerca del successo, così come ci viene raccontata dai mass media

di Nanni Delbecchi

Tutto è perduto fuorché l’assurdo. La “minuta retrospettiva” dell’OHT (Office for a Human Theatre) in programma al Teatro dell’Arte di Milano fino al 22 novembre nell’ambito della stagione del CRT (crtmilano.it) propone una curiosa passeggiata per spettatori-funamboli tra performance, dramma e arti visive. Prove tecniche di sperimentazione, ma non solo. C’è del metodo in questa partnership internazionale che attraverso un’installazione “no man show” e due atti unici persegue una sorta di autobigrafia scenica, il ritratto (per niente figurativo) di una generazione.

Che generazione è quella dei venti-trentenni? Gli spettacoli firmati dal direttore artistico del progetto Filippo Andreatta, cancellano l’immagine dominante della meglio gioventù, felice di misurarsi nella spasmodica ricerca del successo, così come ci viene raccontata dai mass media. Le prospettive si capovolgono e ci troviamo a osservare il dietro le quinte della messa in scena, dove c’è poco Erasmus e molto Beckett. In Autoritratto con due amici Adrian e Patric, un artista e un curatore litigano e si dibattono in uno scalcinato atelier, ma tutti i loro sforzi non faranno che rendere più evidente e soloro il loro fallimento. Il riferimento esplicito è alle teorie del sociologo Richard Sennett, la riluttanza a considerare il fallimento parte della nostra vita quotidiana, che lo rende di fatto il tabu contemporaneo per eccellenza.

Nella seconda pièce, Debolezze, siamo ancora immersi nell’assurdo ma più dalle parti di Ionesco e Adamov, il grottesco erode la disperazione. In un cortile della banlieu parigina l’artista del primo quadro cerca di mettere a frutto il proprio fallimento trasformandosi in un ancor più improbabile Batman assistito da una schiera di Robin che si maerializzano da un vespasiano chimico, ex supereroi diventati “super errori”. Un teatro non della crudeltà ma della tenerezza e della sfiga, realtà solo apparentemente inconciliabili, e invece rese del tutto conseguenti tra calzemaglie da veglione di carnevale, bengala che illuminano inutilmente il buio, biscotti della fortuna della bettola cinese della porta accanto, marciapiedi dove anche le canne si funamo da soli. A ognuno la sua, e a ognuno il suo fallimento. Nel suo minuto orgoglio la Minuta Retrospettiva riporta il teatro alle sue radici più profonde, di luogo deputato della resistenza esistenziale.

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