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Il nome Akrotiri alla stragrande maggioranza di voi, non dirà probabilmente nulla. A scanso di equivoci, non si tratta di una persona ma di un luogo, una base militare per l’esattezza, situata a Cipro, ma rimasta sotto la giurisdizione britannica anche dopo l’indipendenza dell’isola. Akrotiri e Dhekelia sono sovereign base areas, cioè territori sovrani del Regno Unito con uno status speciale: né semplice installazione militare né oversea territory. Laggiù vivono civili, si parla inglese, la giurisdizione e i tribunali dipendono da Londra (con una serie di concessioni ed adattamenti al diritto cipriota, quello della Repubblica del sud).

Senza questa premessa, sarebbe impossibile comprendere l’assurda empasse politico-diplomatica degli ultimi giorni a proposito della questione rifugiati. Cipro è l’angolo di Europa più vicino alla Siria e alle coste bollenti della Turchia, eppure la crisi umanitaria ha a malapena sfiorato l’isola divisa: poche domande d’asilo in questi anni, pochissimi i barconi della speranza che hanno percorso la breve distanza che la divide dalla zona costiera di Latakia e Tartus, in Siria oppure dalle coste orientali turche. Ancora meno le richieste d’asilo delle poche imbarcazioni salvate dai pescherecci.

La ragione sembra essere semplice: il rischio di rimanere intrappolati in una zona tanto vicina all’inferno che i rifugiati si sono lasciati alle spalle, e tanto lontana dall’Europa continentale e il timore di finire strozzati tra le tenaglie di un conflitto mai risolto, quello tra le due comunità greca e turca. Nel sud greco ortodosso, dopo la partizione e gli scambi di popolazione post ’74, i musulmani sono oggi pochi e appena tollerati. E qui entra in ballo la strana situazione della base militare di Akrotiri: l’area britannica non ha confini con la Repubblica di Cipro e si può attraversare in automobile senza mostrare documenti.

Qualche anno fa, però, si pose un problema non da poco: se a bussare alla porta sono rifugiati, di chi è la giurisdizione? Il primo caso risale al ’98 e ad oggi non ha ancora una soluzione: un centinaio di profughi iracheni e palestinesi vennero salvati da un incrociatore britannico in acque territoriali cipriote. O meglio in acque territoriali britanniche. Le autorità della Repubblica dissero: è affar vostro. Da Londra risposero: no, la competenza è di Nicosia l’isola è sotto la vostra sovranità. Le autorità cipriote, con sarcasmo, notarono come fosse la prima volta che il Regno Unito, dalla decolonizzazione del ’60, riconoscesse loro piena giurisdizione sull’isola. 67 profughi vivono ancora in quel limbo: hanno ottenuto lo status di rifugiati ma non in Inghilterra. Anzi no: l’autorità civile britannica della base ha accolto la richiesta di 27 di loro ma il governo di Sua Maestà non ne vuole sapere di autorizzare il trasferimento nel Regno Unito per timore di creare un precedente.  La scorsa settimana, la storia si è ripetuta: 17 anni dopo altri 100 richiedenti asilo hanno toccato il suolo della base. Nel 2003 intanto, Cipro e UK hanno firmato un Memorandum d’intesa che applicato ora per la prima volta, già mostra falle: per l’Unhcr la sovranità britannica sulle basi non è in discussione, cosi l’obbligo di protezione internazionale.

Cameron non ha perso tempo e venerdì ha fatto battere alle agenzie “Le basi di Cipro non diventeranno un’altra rotta nel Mediterraneo e non saranno una porta secondaria per entrare nel Regno Unito”, con l’aggiunta che l’accordo con l’ex colonia parla chiaro. A dire il vero, parla opaco: all’Alto commissariato per i rifugiati sono convinti del contrario “Cipro ha solo l’obbligo di prestare assistenza ma la questione dello status è, e rimane britannica”. Bel pasticcio no? Tale nonostante il governo di Cipro si sia mostrato disponibile a togliere le castagne dal fuoco al Regno Unito, accettando di accogliere l’esiguo numero di rifugiati della base. Che tuttavia hanno fatto richiesta a Londra, dove i cattivisti del governo Cameron sudano freddo all’idea che Akrotiri diventi la Melilla britannica.

 

 

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