Una biblioteca “A porte aperte” dedicata alla memoria di Annalisa Durante appena 14 anni, vittima innocente di camorra, uccisa nel corso di un conflitto a fuoco il 27 marzo 2004. Dopo 11 anni nel cuore del Forcella, rione di malavita, è sorta nei locali di un ex cinema in via Vicaria Vecchia una biblioteca che non sarà solo una biblioteca ma un incubatore di iniziative culturali, teatrali, doposcuola, formazione e orientamento al lavoro. E’ stata la caparbietà di Giovanni Durante, il papà di Annalisa, che come dice Roberto Benigni dal dolore della morte è riuscito a tirar fuori il miele, il motore di questa iniziativa. Giovanni, di fronte all’immobilismo, al nonsipuotismo, alle solite parole di circostanza ha fatto lo sgambetto cominciando a raccogliere libri. Prima due, poi tre ora sono quasi seimila testi. Li portano e li spediscono da tutta Italia e da tutto il mondo. La prima donazione è giunta addirittura da una scuola di Scampia, il quartiere della faida, ma soprattutto della rinascita. Giovanni, si è inventato una forma di cross booking, i libri passano di mano in mano. La speranza è che i figli e i nipoti dei camorristi comincino a leggere perché solo con i blitz delle forze dell’ordine non si va da nessuna parte.

annalisa_ritratto

“I bambini di oggi saranno i camorristi di domani – scriveva Nunzio Giuliano, fratello dell’ex padrino, dissociatosi negli anni Ottanta e ucciso dieci anni fa in un agguato ancora oscuro –  più feroci di quelli di oggi, se non conosceranno la legalità, e il valore della cultura”. Un faro di luce acceso nelle tenebre di un rione che anche nel giorno dell’inaugurazione della biblioteca ha preferito far finta di nulla. Il timore dei residenti è non inimicarsi i “signorotti” della zona. Non bisogna dare nell’occhio, schierarsi. Indifferenza per stare tranquilli e assoluta fedeltà a quelli lì. A pochi metri dall’ingresso della biblioteca e poco accanto alla chiesa di San Giorgio Maggiore ai Mannessi appollaiato con un paio di comparielli c’era Luigi Giuliano, pluripregiudicato, cugino omonimo dell’ex padrino che sbirciava, guardava, osservava. Quasi come se quelle viuzze all’ombra del Duomo di Napoli fossero di sua proprietà e dei suoi familiari. Pensate solo alla famiglia di questo signore: c’è il figlio maggiore Salvatore in carcere. Deve scontare 20 anni per l’uccisione di Annalisa. E’ stato lui la notte del 27 marzo 2004 nel corso di una sparatoria ad ammazzare la 14enne. Poi c’è l’altro fratello Antonio anche lui in cella per una falsa testimonianza durante il processo dell’omicidio di Annalisa. Mentì ai giudici per costruire un alibi al fratello maggiore. E un’altra ordinanza di custodia cautelare l’ha colpito il 9 giugno scorso perché ritenuto dai magistrati dell’anticamorra a capo della nuova paranza criminale che con omicidi e attentati ha riconquistato il territorio.

In gattabuia c’è anche un altro fratello Luigi jr è accusato di aver messo assegno, l’anno  scorso, un agguato contro alcuni agenti. Non è finita. In carcere è finito anche l’ulimo dei fratelli Guglielmo per aver partecipato alla costruzione del nuovo clan detto “dei bambini”. Tra gli arrestati figura anche la madre dei quattro principini e consorte di Luigi Giuliano: la signora Carmela De Rosa finita in cella nel corso dell’ultimo blitz dello scorso 9 giugno. Un quadretto familiare da brivido. Ma anche lo spaccato di una camorra familistica persistente, radicata dal potere tentacolare e infiltrata nei gangli del rione. Napoli sfugge alla logica perfino degli studiosi che non si spiegano come accada che un pezzo del centro storico della città sia in mano a bande criminali alcune delle quali seguono il corso della tradizione camorrista del cognome altre invece con la brutale forza affermano la loro spietata leadership. Basta guardarsi attorno e restare senza parole. Da tempo non ci mettevo piede. Qui la camorra la respiri, la senti addosso, la percepisci. Non esistono leggi, regole, norme da rispettare. Gli scooter sfrecciano contromano, il casco non s’indossa, la segnaletica verticale è stata divelta, auto in sosta vietata ovunque, paletti abusivi installati per “ragioni di sicurezza”, ostacoli fissi piantati ad inizio vicolo per bloccare le volanti o le gazzelle dei carabinieri in caso d’inseguimento.

forcella_adessoQuattro passi e sotto gli occhi ecco gli immancabili banchetti delle sigarette di contrabbando che ormai fanno parte dell’arredo urbano. Come i capannelli di guaglioni fuori ai bar o davanti alle sale giochi. Stanno lì, mani in tasca. Parlano, chiacchierano, guardano, controllano i vicoli. Da queste parti mai un vigile urbano, una pattuglia della polizia, una divisa. Non si capisce perché o meglio lo si capisce. Normalità sarebbe istituire un posto fisso di polizia o un presidio della polizia municipale. Cominciare a elevare multe per  divieto di sosta, sequestrare moto e scooter, distruggere le bancarelle delle sigarette di contrabbando, controllare le persone che qui girano armate e perquisire le abitazioni note. Cacciare – ad esempio- via i camorristi da immobili oggetto di sequestro giudiziario e confisca. Avviare un programma straordinario di rigenerazione urbana e soprattutto investire negli apprendistati. E’ chiaro che se la Napoli borghese quella anche delle famiglie dei rampolli che a Forcella vengono a comprare “’o Servizio” insomma la cocaina oppure a fare qualche affare ricomprando merce rubata  tipo Rolex non si rimboccano le maniche difficilmente si troverà una via d’uscita.

E’ la città tutta che deve farsi carico di Forcella come dei Quartieri Spagnoli, del Rione Sanità, di Ponticelli come di Secondigliano. Non è sufficiente solo l’impegno delle istituzioni, associazioni e la  generosità dei pochi per guardare l’orizzonte di una nuova alba. La biblioteca di Annalisa se immersa in un contesto così degradato, perturbato e controllato non sarà una biblioteca della speranza ma solo della disperazione. Segnali che dovrebbero arrivare anche dal governo nazionale, le piaghe di Napoli sono soprattutto sociali e dell’assenza di un sistema culturale-educativo-scolastico adeguato insomma solo la strategia del contrasto e della repressione non è vincente. La vera amarezza è constatare anche come la chiesa di San Giorgio Maggiore ai Mannesi a Forcella – retta da don Angelo Berselli che sostituì per volontà del cardinale Crescenzio Sepe il prete anticlan Don Luigi Merola –  sia ridotta a ufficio parocchiale. Una chiesa staccata dal resto del territorio dove l’importante sembra sia dire messa e concedere i sacramenti a tutti per non inimicarsi nessuno. 

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