Mettiamoci l’anima in pace: il Festival di Sanremo non sarà mai una vetrina per la musica di qualità. Ogni tanto tra le maglie malefiche della selezione passa qualcosa di apprezzabile, ma è merce rara, rarissima, arrivata sul palco dell’Ariston quasi per sbaglio.

E allora pazienza. Ma sul serio, però. Faccio mea culpa per primo: ogni anno mi struggo di fronte al desolante menu musicale, vergo indignato pagelle durissime, non mi rassegno all’inevitabile. E sbaglio, perché dovrei.

Non cambierà mai nulla, qui in Riviera. Non solo perché chi decide è totalmente inadatto a comprendere i gusti musicali contemporanei, ma anche e soprattutto perché al pubblico di RaiUno piace quella poltiglia rimasticata di divetti amati dai teenager e vecchi residuati bellici. E visto che chi vince ha sempre ragione, noi abbiamo clamorosamente torto. Accettiamo la sconfitta.

Però, perché c’è sempre un però, se proprio trash deve essere, che almeno sia fatto bene. Il trash di qualità è tutt’altro che detestabile. E con un trash come si deve, arriverebbe anche il pubblico giovanile. Da dove trarre ispirazione, dunque, per conciliare la rumenta sanremese con la qualità di quella che in molti definiamo, per snobismo e comodità, “cultura bassa”? Facilissimo: dall’Eurovision Song Contest, il vecchio EuroFestival, carrozzone supertrash ma sapientemente dosato per sbancare ovunque nel Vecchio Continente.

Quasi ovunque. Perché in Italia, guarda caso, non se lo fila nessuno. E il nostro paese, attraverso la Rai, è tornato in gara solo pochi anni fa dopo qualche lustro di assenza. “Noi abbiamo Sanremo! Non possiamo trascurarlo per far crescere l’Eurovision!”. Già, visto che Sanremo è questo popò di contemporaneo intrattenimento, perché aprirsi al mondo e dare lo spazio che merita a un evento che altrove è seguitissimo? Teniamoci gli Al Bani e le Romine, i Marchi Masini, le Grazie Di Michele, mentre in tutta Europa, ogni anno a maggio, si balla, ci si diverte e si passa una settimana di innocente e divertente evasione nel nome della musica (non di qualità, sia chiaro. Ma questo è assodato).

Le canzoni che hanno vinto gli ultimi Festival di Sanremo sono quasi sempre passate inosservate ai più, giustamente dimenticate da chi, per 51 settimane su 52, ascolta ben altro genere di musica. L’Eurovision Song Contest, invece, ha lanciato qualche pezzullo scemo ma coinvolgente, che è rimasto nella memoria di chi segue l’evento ogni anno: My number one della greca Helena Paparizou (vincitrice nel 2005), la travolgente Euphoria della svedese Loreen (vincitrice nel 2012), per non parlare di Waterloo degli Abba, che trionfarono nel 1974. Lo scorso anno, a Copenhagen, è esploso il fenomeno Conchita Wurst, barbuta drag dalla voce possente, che stasera sarà all’Ariston dopo polemiche insulse e roventi.

E allora i signori di Sanremo e della Rai seguano con maggiore attenzione l’edizione 2015 di Vienna, prendano spunto dallo show asciuttissimo, senza fronzoli e che va dritto come un treno, si immergano nella folla coloratissima che canta e balla dal primo all’ultimo minuto (altro che le cariatidi impellicciate dell’Ariston). Perché se trash deve essere, ripeto, che almeno sia fatto bene. E ci faccia divertire, finalmente.

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