Di Uliano Lucas scrive L’Espresso: “Cinquant’anni di scatti. Di impegno sociale. Di giornalismo d’inchiesta per immagini. Dalla Milano dell’immigrazione e del boom economico alla Sarajevo martoriata e sotto assedio, le carceri e gli ospedali psichiatrici, il Sessantotto, le lotte studentesche, i volti anonimi e quelli di artisti e scrittori, l’Etiopia affamata e la nuova Cina…”. Il noto fotografo è stato nostro ospite al Festival Suq di giugno, e nuovamente al partecipato incontro Suq di ottobre – occasione vivace ed espressiva della nostra rete e community, dove ha sottolineato come “fare un reportage significa costruire storie, più storie, ma soprattutto significa dialogare con la gente… cercare di capire cosa sta accadendo intorno a te. Se non capisci, come puoi raccontare degli altri?”.

Ecco il punto. Come si può oggi raccontare uno dei temi chiave del nostro tempo, la contaminazione globale tra culture, migrazioni e popolazioni? Di qui è nata la proposta a Lucas di visitare il Festival Suq di Genova e di indagarne liberamente, attraverso i suoi scatti, l’essenza, le dinamiche, le nuove realtà meticce che vi si esprimono. E da qui prende il via un progetto editoriale sul Suq – dopo 16 anni di attività – curato dall’antropologo Marco Aime e dalla direttrice Carla Peirolero che ospiterà le fotografie di Lucas.

foto di Uliano Lucas © al Suq Festival 2014
foto di Uliano Lucas © al Suq Festival 2014

Riflessioni che riscontriamo ancora una volta di estrema attualità e concretezza, nel momento in cui i tristi e inquietanti “fatti glocali”, dall’Isis a Tor Sapienza, ci mettono di fronte alla questione: dove abbiamo sbagliato? La cultura ha fatto troppo poco per farci conoscere l’Altro, al di là degli stereotipi o dei facili e comodi pregiudizi? E la politica, è stata in grado di predisporre leggi che diano confini precisi a diritti e doveri, in modo che i tanti migranti protagonisti di una “buona immigrazione” non debbano sentirsi additati come dei “rubalavoro, delinquenti, clandestini”? L’aria che si respira nei giorni del Festival Suq farebbe pensare che un po’ più di investimento in questo tipo di iniziative farebbe emergere un’altra storia, forse meno adatta a facili slogan da scandire nei cortei o a titoli allarmistici sui giornali, ma che il progetto editoriale sul Suq potrebbe raccontare molto bene.

Articolo Precedente

Nick Hornby, “Funny Girl”: una donna degli anni ’60 alla conquista della felicità

next
Articolo Successivo

Fotografia, analfabeti dello sguardo: non è mai troppo tardi?

next