coffee-londra

Molta gente mi chiede – nessuno, in realtà, ma andiamo pure avanti. Dicevo, molta gente mi chiede: “Se tu potessi dare un consiglio ad un o una connazionale per la sua prima visita Oltremanica, quale sarebbe?”. Molto semplice: non chiedete un caffè. “Ma che c’entra il caffè?!”

Noi pensavamo – non so – ‘lascia sempre la mancia‘. O ‘sta sulla destra quando sali in scala mobile, in metropolitana’, ‘rispetta la fila per prendere l’autobus’, ‘Say sorry’ anche quando il piede l’hanno calpestato a te.

No. Perché, nonostante tutti quelli elencati siano sicuramente suggerimenti importanti e degni di nota, non c’è nulla di più soul destroying che, appena atterrati sul suolo britannico, entrare in un bar e, con l’intenzione di rimediare alla pioggia e al grigiore e sentirsi per qualche momento ancora a casa, chiedere: “A coffee, please”. Perché il barista il coffee te lo dà. Eccome, se te lo dà. Ma è in versione pinta, con quasi mezzo litro d’acqua bollente. E al primo sorso ti pialla la lingua. La giornata ha preso già una brutta piega e la vostra visita ne rimarrà inevitabilmente segnata.

Gli inglesi sono precisi. Molto precisi. Lo si vede soprattutto nel linguaggio. Le mani hanno ‘fingers’, i piedi hanno ‘toes’. I guanti sono ‘gloves’, finché non non perdono, appunto, tre fingers e diventano ‘mittens’. Questo, in particolare, l’ho imparato a mio discapito, qualche anno fa, correndo il rischio di istigare una vera e propria lite con un mio caro amico di Plymouth.

F: Hey Steve, where did you buy those gloves?

S: What gloves?

F: Those gloves.

S: Which ones?

F: The ones you’re wearing!!

S: Oh, you mean my mittens?

F: Eh? Macché mittens e mittens?!?! So’ guanti! So’ fatti de lana! Te coprono le mano? Allora so’ guanti!

L’ultima parte, ovviamente, gliela risparmiai. In fin dei conti, la lingua era la sua.

E poi ancora: la metropolitana è ‘tube’ solo se è ‘Underground’, altrimenti diventa ‘Overground’, ‘DLR’ o Thameslink’. Che in realtà è una linea ferroviaria. Ma, appunto, se sei preciso, non ti sbagli.

E sono precisi anche nel caffè. Quello che volete – e il barista forse lo sa pure, avendo riconosciuto lo zaino dell’Invicta, ma è una specie di rito d’iniziazione – è un espresso! ‘Single’, o preferably ‘double’, che diventa bello corposo. A meno che non siate a Starbucks, che allora, come double, vi mettono quasi una pinta d’acqua pure nell’espresso. Oppure potete provare a chiedere un ‘Double, but quite short, please’ (= ristretto), facendo letteralmente esplodere la testa del barista. Ed eviterei anche i Greasy Spoons (‘cucchiai unti’), dove il Full English Breakfast la fa da padrone, ma il caffè è ancora fatto con la bustina del tè di tre giorni fa.

Ma, a parte queste eccezioni, devo dire – e immagino già le reazioni dei due lettori – che qui a Londra l’espresso è buono! Certo, magari non buono come lo fanno in Via Borsari a Verona o in Piazza del Plebiscito a Napoli, ma la qualità è decisamente migliorata negli ultimi 10 anni. E poi ci sono i baristi australiani, adesso, che ti fanno un (caffe)latte ‘da volar via’ (Franco Rognoni), con sopra disegni di foglie, alberi e, a volte, addirittura cigni! Dal Regno Vegetale a quello Animale, in un soffio di schiuma, mate.

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