L’esperienza di The Plant a Chicago: un magazzino per il confezionamento di carne di maiale, abbandonato come gli ampi spazi aperti circostanti, viene acquistato nel 2010, recuperato e trasformato nella prima Vertical Farm al mondo effettivamente funzionante, e i terreni intorno coltivati in permacultura (per le foto, qui).
L’azienda produce con sistema acquaponico, all’interno dell’edificio su una superficie di circa 9.000 mq su più livelli, cibo “a chilometri zero”: ortaggi freschi privi di pesticidi e additivi chimici, funghi e pesce. C’è anche un birrificio. Ma l’aspetto più significativo è che il procedimento produttivo è completamente autonomo sotto l’aspetto energetico.
The Plant raccoglie i rifiuti urbani organici nella parte di città in cui si trova. Quei rifiuti vanno ad alimentare sia la produzione di energia (tramite digestore anaerobico e turbina ad esso connessa) che la produzione di fertilizzanti naturali. Le acque utilizzate dai pesci, opportunamente filtrate forniscono alimento alle piante e tornano pulite in circolo.
All’esterno, i terreni organizzati in orti coltivati in permacultura forniscono frutta e verdura.
L’azienda vende cibo fresco, birra, funghi, formaggi, fiori, servizi di smaltimento, compost oltre ad avere al suo interno un incubatore per la creazione di imprese dello stesso tipo. Organizza inoltre corsi e workshop tematici, e migliaia di visite guidate all’anno per scuole e cittadini interessati; infine affitta spazi a piccole aziende agroalimentari.
In pochissimi anni The Plant ha avuto un successo economico e di pubblico che probabilmente neppure John Edel, il fondatore, poteva immaginare. Ma proprio i caratteri di questo successo hanno via via modificato anche gli obbiettivi dell’impresa. Da centro di produzione di cibo fresco, la vecchia fabbrica alla periferia di Chicago è divenuto sempre più un punto di riferimento per nuove esperienze dello stesso tipo che stanno sorgendo negli Stati Uniti, e non solo: oggi il principale prodotto di The Plant è il know-how.
Qualcosa però manca a questa, per certi aspetti, entusiasmante esperienza: far tornare in vita un organismo edilizio abbandonato e i suoi spazi esterni, non può significare solo dargli nuovi usi, se pur molto innovativi. Un adeguamento dell’architettura e del disegno degli spazi aperti –il nuovo paesaggio urbano che quelle trasformazioni determinano- è fondamentale per il completamento del senso di quell’operazione che comporta un complesso di trasformazioni funzionali, tecnologiche, produttive, sociali, economiche, culturali, di portata così ampia.
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