La gente, quando ci entra, non sembra che stia entrando: è il posto che la inghiotte. La stessa gente, quando esce a tardissima notte, alleggerita di qualche decina o centinaio di euro, sembra sia stata sputata fuori. Ma qualcuno viene sputato via subito.

Tina viene cacciata fuori in strada tra urla e spintoni. Tiene chiusa in mano una banconota da 50 euro, la stringe così forte da accartocciarla; le si aggrappa come alla sua ultima speranza.

Ha meno di quarant’anni. Dal marciapiede di fronte, vedo che piange a dirotto: mi sento in obbligo di intervenire. Forse, chi si sta godendo l’inizio della serata dai tavolini del bar poco più avanti la prende per cavalleria; in verità, è soprattutto odio per il posto che ha ridotto in lacrime quella donna: una sala slot, con sala bingo annessa.

La banconota diventa sempre più piccola. Tina fa fatica a parlare, ma è chiara la richiesta di aiuto: quel posto ha inghiottito anche suo marito, sputando fuori lei, strattonata con violenza dalle gigantesche mani di un buttafuori di dimensioni triple rispetto alle sue.

Fa fatica a spiegarsi, incespica nelle parole ma vuole raccontare. Il marito è entrato a giocare alle macchinette, ma quei soldi sono gli ultimi rimasti: lei ha cercato di fermarlo, seguendolo fin dentro l’antro delle slot machine. La coppia ha litigato davanti a tutti, lui non riusciva a resistere, lei voleva impedirgli di comprare il nulla. Il buttafuori, piccola pedina ignobile e probabilmente sottopagata, capisce subito da che parte schierarsi: con la forza, getta la donna sulla strada. “E lui lo ha lasciato fare! – si dispera Tina – sono riuscita a salvare solo questi”.

Provo a dirle delle ovvietà a un tanto al chilo. “Non è colpa di tuo marito, non è in sé – le ripeto – le macchinette le costruiscono apposta per rincoglionirti così, può capitare a chiunque”. Ma lo sa anche lei, annuisce. Probabilmente se ne intende molto più di me, suo malgrado.

Passano per fortuna pochi minuti prima che il marito esca agitato alla ricerca di Tina, il tempo necessario per perdere quello che Tina non è riuscita a salvare. Esce dalle porte opache e la trascina via di fretta per sottrarla a ragionamenti lucidi e sottrarsi alla vergogna provata sotto gli occhi attoniti di un passante sconosciuto.

Sono rimasto da solo sul marciapiede, con la voglia di entrare nella sala e fare una scenata. Ma a che pro? Ho pensato che avevo assistito a violenza su una donna: anche se esercitata nel sacro nome del profitto, forse è ancora un reato. Ho chiamato il 113, ho spiegato che cos’era successo cercando di interpretare la parte del cittadino pacato e fiducioso nello Stato che non sono. Mi hanno risposto che “la prossima volta” dovevo chiamarli quando il fatto stava succedendo; lo sanno anche loro che ci saranno tante prossime volte

Il sistema del gioco d’azzardo liberalizzato in Italia si permette di essere prepotente perché ha la legge dalla sua. Chi lascia correre la prepotenza è complice delle sue inevitabili conseguenze. Chi non vuole essere complice dell’ingiustizia, deve accettare il marchio del fuorilegge.

Sulla porta del posto c’è un cartello firmato “la direzione”. Dice: “L’ingresso alla sala slot non è consentito a chi non gioca“. Ecco, allora Tina era dalla parte del torto. Era una fuorilegge.

Ps: Questa è una storia vera. Per fortuna nella nostra città, Pavia, ci sono però anche tentativi di resistenza: per esempio, mercoledì 7 maggio si è tenuto il secondo partecipatissimo slotmob (aperitivo senza macchinette) in un bar senza slot di Pavia. E un terzo è già in cantiere per il 23 maggio, in occasione del passaggio della Carovana Antimafia di Libera. A maggio siamo in pausa, ma da giugno ricominciamo a presentare il nostro libro, Vivere senza slot. Chi volesse riascoltare la presentazione che ne abbiamo fatto a Bologna insieme a Wu Ming 1, può visitare il nostro sito.

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