Ebbene sì: ci andrò. Andrò al cinema a vedere Sole a catinelle di Checco Zalone. E lo farò con convinzione. Per due motivi. Il primo: spero di ridere. Di un’ilarità magari gretta e un po’ cafona, ma senza vuoto a rendere, senza sarcasmo, senza sovrastrutture. Ridere non per le battute sulla politica, su Berlusconi, sui risvolti grotteschi della quotidianità. No. Ridere e basta: quanto ci manca… Il secondo motivo con una domanda: perché non andarci? Ho visto gli altri due, vedrò anche questo. E non mi vergogno a dirlo. Sono un consumatore onnivoro: horror, film d’autore, fantascienza, americanate, tanto cinema italiano, animazione e, lo confesso, anche qualche cinepanettone. Che non mi sono piaciuti.

Ecco il punto: i film con Luca Medici, pur essendo fenomeni da box office (già superato il tetto dei 50 milioni, il produttore Valsecchi punta a quota 55, ma spera 60), rimangono lontani anni luce dai prodotti natalizi che puntano (puntavano) solo su vacanze, tette, culi e volgarità assortite. A mio avviso, il comico pugliese incarna un tentativo più o meno riuscito di fondere due figure che hanno fatto la storia del cinema comico italiano: Lino Banfi (e i suoi personaggi) e il Fantozzi di Paolo Villaggio. Massacrati dalla critica da salotto, adorati (e mai dimenticati) dalla gente in sedia di plastica. Altra domanda a rimorchio: come mai i cinepanettoni non hanno mai fatto i numeri di Sole a catinelle, Cado delle nubi e Che bella giornata? Forse perché il grande pubblico ha compreso l’obiettivo del prodotto e, magari, anche il messaggio che c’è dietro. E allora, cosa c’è dietro? Facile facile: nulla di altamente culturale, tanto di socialmente rilevante.

Perché se Zalone diventa un fenomeno mediatico un motivo ci dovrà pur essere ed è lo stesso motivo per cui trovo miope chi si indigna per il successo dei suoi film. E’ uno scandalo che Sole a catinelle sia la pellicola che più ha guadagnato nella storia del cinema italiano? Dipende dai punti di vista. Lo è se si paragona ‘l’opera’ ai capolavori di Fellini, Monicelli, Antonioni, ecc. Non lo è se si fa un’analisi meno radical-chic e si tiene conto di epoche, diffusione e tempi storici differenti e incompatibili per definizione. Chi lo fa, a mio modesto parere, cade in un doppio errore: preferire la seta alla lana (ma c’è una persona al mondo che, se potesse scegliere, sceglierebbe la lana?) e professare uno spocchioso esclusivismo culturale in deminutio.

Ma perché se vedo Zalone non posso apprezzare Pasolini? Ma dove sta scritto? Il primo mi fa ridere, il secondo mi fa godere. Ma comunque li guardo entrambi. Ultima considerazione: siamo sicuri che i campioni da botteghino non facciano bene all’asfittica situazione del cinema italiano (inteso come consumazione e non come produzione di film)? A mio avviso qualsiasi pellicola che riporta la gente al cinema (e magari la fa pure ritornare) è da premiare e incensare. E pazienza se i cultori dei film d’essai storceranno la bocca. Anche perché – lo dice il mercato, purtroppo – se non ci fosse Zalone non ci sarebbero neanche i film d’essai.

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