Gianrico Carofiglio è, in ordine cronologico, un magistrato, uno scrittore, un senatore della Repubblica (eletto con il Pd). Come senatore decide le leggi, come magistrato le fa applicare, come scrittore… scrive libri, che poi i critici esalteranno o stroncheranno e i lettori compreranno o ignoreranno, direte voi. Non esattamente. Il Carofiglio scrittore, se qualcuno ne stronca i talenti letterari, sporge querela e pretende risarcimenti in danaro sonante. Ne dovrebbe fare le spese Vincenzo Ostuni, editor della casa editrice Ponte alla Grazie, che si è permesso di giudicare l’ultima fatica di Carofiglio, Il silenzio dell’onda, “un libro letterariamente inesistente, scritto con i piedi da uno scribacchino mestierante, senza un’idea, senza un’ombra di ‘responsabilità dello stile’, per dirla con Barthes”. Sentirsi dare dello “scribacchino mestierante” quando si ambiva allo Strega (e magari domani al Nobel) ovviamente non fa piacere. Ma scrittori incomparabilmente più grandi del senatore Carofiglio hanno ricevuto critiche ben più “infamanti”. In fondo, “mestierante” non è neppure così negativo (un certo mestiere a Carofiglio scrittore non lo negano neppure i critici più severi) e “scribacchino” vuole dire solo “scrittore di scarsissime capacità” (cito dal Devoto Oli).

Ora, se nella critica letteraria non si può dire di nessuno che è uno “scrittore di scarsissime capacità”, resta solo il servo encomio (di cui la critica letteraria non difetta) e l’esaltazione ditirambica di qualsiasi mediocrità. Mentre, giustamente, rivendichiamo il diritto di ciascuno di dileggiare le convinzioni più sacre (per chi le condivide), di mettere in satira Maometto, di esporre nei musei crocifissi con una ripugnante rana al posto di Gesù di Galilea, di irridere la Madonna nei film, proprio in nome della libertà dell’arte. Che comporta, però, per ogni artista o che si presuma tale, la serena accettazione di essere criticamente dileggiato a sua volta. Ostuni non ha scritto che Carofiglio è un ladro, un falsificatore di moneta, uno stupratore, nel qual caso la condanna per diffamazione è sacrosanta se chi ha formulato l’accusa non è in grado di provarla. Ha usato lo staffile della critica letteraria, che dovrebbe essere diritto costituzionalmente riconosciuto.

Se la pretesa del senatore scrittore non venisse stroncata sul nascere, radicalmente e tassativamente, dai suoi colleghi magistrati che dovranno decidere se e come “dare corso” alla citazione in giudizio, ci troveremmo di fronte all’incombere di un “lodo Carofiglio” che costringerebbe i critici d’arte a esaltare come eredità di Michelangelo ogni installazione/ciofeca (lo fanno già), i critici musicali a vedere Mozart in ogni strimpellatore, i critici letterari a scoprire Dostoevskij in ogni Carofiglio. Come se di conformismo e di servo encomio in questa disgraziata Italia non ce ne fosse già in opulenza. Per fortuna, un gruppo di scrittori e critici annuncia un “appuntamento mercoledì prossimo alle ore 11 davanti al commissariato di Piazza del Collegio Romano – il commissariato di don Ciccio Ingravallo in Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda – per pronunciare pubblicamente la frase incriminata di Ostuni e rivendicare il diritto alla libertà di parola e di critica” invitando “scrittori, intellettuali e cittadini a iniziative analoghe”.

Il Fatto Quotidiano, 25 settembre 2012

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