E’ il giugno del 1992 quando per la prima volta il nome di Roberto Formigoni viene accostato a un’inchiesta giudiziaria. Siamo nella Prima Repubblica, era Tangentopoli. Per l’interrogatorio di Giorgio Cioni, all’epoca collaboratore di Formigoni eletto deputato, che doveva fornire chiarimenti su quanto raccontato da Maurizio Prada; e cioè che 150 milioni di lire sarebbero stati destinata al Movimento popolare. Il giorno prima era stato sentito, su sua richiesta, l’allora assessore regionale Antonio Simone, personaggio uscito poi dal diorama politico formigoniano per entrare in quello giudiziario con l’inchiesta sulla fondazione Maugeri.
Depuratore di Nosedo
Un anno dopo, nell’inchiesta per l’appalto del depuratore di Nosedo, l’imprenditore Bartolomeo Di Toma parla, de relato, addirittura di una mazzetta distribuita a Dc e Pci. Il depuratore ritorna anche anni dopo per una serie di esposti, ma nel 1998, viene chiesta l’archiviazione perché esclusa la corruzione. Nelle indagini, Bartolomeo De Toma, craxiano collettore delle tangenti per il Psi, sostenne che Ottavio Pisante, manager del gruppo Acqua, gli aveva detto di aver promesso dei soldi a Formigoni per la Dc, a Ferlini Pci e all’architetto Balzani per Pillitteri e quindi per il Psi. Pisante, interrogato, smentì.
Lombardia risorse
La prima vera grana per il Celeste arriva nel marzo del 1998 quando la Procura di Milano chiede il rinvio a giudizio del già presidente della giunta regionale e di altre dieci persone per la bancarotta della società regionale Lombardia Risorse, società fallita, con bilanci falsi dal 1992, per un buco di venti miliardi di lire che per l’allora pm Marco Maria Maiga era il “frutto malato dello scontro politico” tra Formigoni e uno degli amministratori della società, Walter Ganapini. Per l’accusa il governatore avrebbe contribuito al fallimento, ritardando ogni decisione. Ma il 12 giugno 2001 il giudice Maurizio Grigo proscioglie Formigoni. Il gup aveva disposto per alcuni imputati il rinvio a giudizio mentre altri, tra cui Ganapini, avevano patteggiato la pena.
Fondazione Bussolera-Branca
Prima di questo però, a gennaio, la Procura di Milano contesta l’abuso d’ufficio nella vicenda della Fondazione Bussolera-Branca e dopo due mesi chiede il giudizio immediato. Per l’accusa Formigoni avrebbe messo le mani sui soldi della fondazione tramite la nomina di persone di fiducia che il governatore avrebbe disposto grazie a Fabio Pierrotti Cei, ai tempi presidente della Fondazione Branca Bussolera. Un accordo tra Firmigoni e Cei che avrebbe permesso al presidente lombardo e all’assessore Francesco Fiori, ex responsabile regionale all’Agricoltura, di gestire la fondazione con la nomina di un consigliere di amministrazione.
La fondazione ricevette dall’avvocato Bussolera, senza eredi, il suo patrimonio: circa 170 miliardi, 120 dei quali in denaro liquido. Bussolera lasciò precise disposizioni su chi avrebbe dovuto far parte del consiglio di amministrazione della fondazione. Tra questi, l’esecutore testamentario, l’avvocato Ezio Lancellotti, Fabio Pierotti Cei (che divenne presidente) e Carlo Sarchi (consigliere), questi ultimi due finiti sotto inchiesta. La fondazione ottenne il riconoscimento di ente morale dalle Regione. Un atto che comportava una serie di interventi dell’ente pubblico sulla Bussolera-Branca, come la nomina di un consigliere appunto. Sarebbero state fatte pressioni sulla fondazione dal consigliere nominato dal Pirellone, attraverso l’assessore, per chiudere le vertenze tra l’ente e Cei, facendogli tenere i 10 miliardi di provvigione che la fondazione gli contestava per la vendita di alcune quote che secondo l’ente erano state vendute a un prezzo troppo basso. La vertenza invece fu ratificata una delibera di giunta per una transazione con Sarchi, al quale andarono 7 miliardi e i 10 a Cei. I due provvedimenti, che secondo l’accusa non dovevano essere presi, causarono un danno da 17 miliardi. Cui furono furono aggiunti i 59 miliardi di sottovalutazione delle azioni (secondo una perizia). Il danno, quindi, per l’ente sarebbe arrivato a circa 77 miliardi. Ma per il giudice Edorado Davossa, attuale presidente del collegio del processo Mediaset, non c’era traccia d’accordo tra Cei, Fiori e Formigoni.
Discarica di Cerro
Il 20 dicembre 2005 Formigoni viene assolto nel processo per il caso relativo alla gestione della discarica di Cerro Maggiore. Prende due anni invece, l’ex assessore regionale all’Ambiente, Franco Nicoli Cristiani, assolto poi dalla Cassazione e poi arrestato tre mesi fa in una nuova inchiesta per corruzione. Nel processo al Celeste veniva contestato il favoreggiamento e l’abuso d’ufficio (assoluzione con formula piena) e la corruzione, assoluzione con il comma II che prevede l’assenza la contradditorietà o la carenza della prova, ma la Procura aveva chiesto tre anni per la gestione dei profitti del discarica che dal giugno ’91 al marzo ’96 fu l’unico impianto di smaltimento dei rifiuti a Milano. Nella vicenda aveva patteggiato la pena Paolo Berlusconi, socio della Simce proprietaria della struttura, a un anno e nove mesi. Successivamente la Cassazione, nel gennaio 2010, aveva confermato la condanna a quattro mesi anche per false fatturazioni emesse dalla Simec. Reati e condanne coperte dall’indulto. Mentre Formigoni aveva incassato un’altra assoluzione il 20 dicembre 2005.
Oil for food
Formigoni non è mai entrato ufficialmente nell’inchiesta per corruzione internazionale (2005-2006): mazzette, oltre un milione di dollari a fronte di contratti per 63 milioni, ai funzionari iracheni, nel post Saddam, in cambio degli appalti per le forniture di petrolio sotto l’egida dell’Onu per far arrivare cibo e medicine alla popolazione stremata dalla guerra. Ma nel processo che ne è scaturito Marco Mazarino De Petro, rappresentante di Formigoni in Iraq e nel contempo consulente esterno dell’azienda italiana Cogep, è stato condannato in primo grado e prescrito nel secondo. E Alberto Perego, convivente del presidente, è stato stato condannato in primo grado a quattro mesi per falsa testimonianza per aver negato di essere il beneficiario di un conto bancario svizzero nell’inchiesta della Procura di Milano. Il Celeste è stato solo sfiorato dall’inchiesta anche quando Tarek Aziz, l’ex primo ministro del regime, ave testimoniato sotto giuramento gli ispettori dell’Onu (che indagavano per bustarelle per oltre 2000 milioni di dolari a fornte di contratti per 64 miliardi, ndr) che “il governatore della Lombardia Formigoni ha ricevuto assegnazioni di petrolio“, fino a un anno prima della guerra, perché il governo di Bagdad “intendeva concedere il greggio alle persone considerate sue amiche”, in quanto “tenevano un atteggiamento politicamente positivo nei confronti dell’Iraq”. Eventualità smentita categoricamente da Formigoni. Anche se agli atti esisteva un fax a sua firma, datato 8 giugno 1998, che sembrava raccomandare la Cogep (di cui Mazarino era consulente) proprio a Tarek Aziz. La presunta raccomandazione, per la legge italiana, non era e non è reato.
Eolico P3-Firme false
E’ il luglio del 2010 quando il nome di Formigoni compare nell’inchiesta P3, una organizazzione volta a ”condizionare il funzionamento degli organi costituzionali”. Il governatore, non indagato, avrebbe chiesto esplicitamente all’allora presidente della Corte d’appello di Milano Alfonso Marra di intervenire nella vicenda dell’esclusione della lista riconducibile al governatore dalle elezioni regionali 2010. E proprio sul fronte elettorale sono state chiuse le indagini sulle firme false delle liste per le elezioni amministrative: nei guai sono finiti il presidente della Provincia, Guido Podestà e quindici rappresentanti del Pdl, per lo più consiglieri provinciali e comunali, che avevano certificato l’autenticità delle firme necessarie per la presentare la lista regionale “Per la Lombardia” e quella provinciale “Il Popolo della Libertà – Berlusconi per Formigoni”.
San Raffaele-Maugeri
Sono due le inchieste degli ultimi mesi che hanno messo in seria difficoltà Formigoni. Quella sul dissesto finanziario del San Raffaele e quello sul drenaggio di fondi dalla fondazione Maugeri, quest’ultima costola della prima indagine. In entrame le indagini è indagato, ed è stato arrestato, l’imprenditore Pierangelo Daccò, così vicino a Formigoni da pagargli le vacanze e da ospitarlo abitualmente su una delle sue barche per le vacanze. E nell’ambito di questa inchiesta che è emersa l’anomala vendita, a prezzi non di mercato, di Villa Li Grazii, a cinque chilometri da Porto Cervo, proprio ad Alberto Perego. Una splendida da 13 locali, immersa nella macchia mediterranea e affacciata sul mare della Costa Smeralda per il qualche Formigoni avrebbe dato un milione e 100 mila euro all’amico che ne ha pagati soltanto tre. Intermediario dell’affarone Pierangelo Daccò che ha venduto la magione tramite una società a lui riconducibile.
Nell’inchiesta Maugeri – con l’appropriazione di 70 milioni di euro finiti in fondi neri – è stato arrestato anche Antonio Simone, ex assessore regionale della sanità negli ’90 quando Formigoni non era governatore, ma considerato molto vicino al Celeste. In questo caso a fare il nome del governatore è stato anche il direttore amministrativo della fondazione pavese Costantino Passerino per cui avere rapporti “privilegiati” con Daccò (arrestato) era conveniente perché l’uomo d’affari aveva forti legami con il Presidente. Ed è Daccò, ormai in carcere da mesi, in un verbale di diciassette pagine ad elencare tutte le spese sostenute per il governatore – aerei e vacanze per migliaia di euro – e che Formigoni avrebbe voluto dimostrare di aver pagato con soldi suoi. “Oltre al capodanno 2010/2011, ho passato con Formigoni anche il capodanno 2009/2010 e 2008/2009. In occasione di tutte le vacanze di fine anno, ho sostenuto io tutte le spese di alloggio presso le ville prese in affitto ai Caraibi. Formigoni e altri amici hanno alloggiato in tali ville senza corrispondere alcuna quota”. E infatti né ricevute di pagamento né di bonifici sono mai state mostrate alle stampa dopo averle annunciate.