Gli investigatori lo hanno ribattezzato gruppo misto. E’ l’incrocio criminale che dal 2009 ha visto protagonisti il clan Mallardo, egemone a Giugliano, in provincia di Napoli, i Casalesi, fazione Bidognetti, e i Licciardi-Contini di Secondigliano. Hanno sfruttato i buoni rapporti di sempre per mettersi in società. La direzione distrettuale antimafia partenopea, coordinata dall’aggiunto Federico Cafiero De Raho, pm Giovanni Conzo, Cesare Sirignano e Maria Cristina Ribera, ha disarticolato questo cartello. I carabinieri del Ros, agli ordini del vicecomandante del reparto operativo speciale Mario Parente, hanno arrestato 47 persone eseguendo due diverse ordinanze. Dopo l’arresto del boss Giuseppe Setola, nel 2009, i Bidognetti avevano interesse a riorganizzarsi. Così nasce l’idea del gruppo misto, maturata dal reggente Francesco Diana, detto Salvi, oggi collaboratore di giustizia. Da una parte il gruppo nascente serviva a ricostruire l’ala militare, falcidiata dagli arresti, dall’altra, a intensificare le estorsioni sul litorale domitio. I pentiti hanno raccontato che solo nella retta estiva, il tradizionale giro di pizzo, il gruppo misto raccoglieva mezzo milione di euro. Gli imprenditori rispondevano con il silenzio.
Gli affari: estorsioni, gioco e investimenti
Il gruppo misto aveva una cassa comune per pagare i familiari dei detenuti, gli affiliati e i capi. Ogni clan manteneva anche il proprio core business, i Casalesi impegnati nelle estorsioni, i Licciardi nello spaccio, i Mallardo, padroni del riciclaggio in edilizia e ristorazione soprattutto fuori dalla regione Campania. “I Mallardo – ha spiegato l’aggiunto Cafiero De Raho – sono una potenza economica con ramificazione nell’intero paese grazie alla complicità di una rete di imprenditori di insospettabili”. Gli interventi delle forze dell’ordine sono stati eseguiti in diverse regioni dalla Lombardia alla Calabria passando per Lazio ed Emilia Romagna. Non c’erano solo le estorsioni, ma anche il poker on line, il calcio scommesse tra le voci di bilancio del gruppo misto.
Il collaboratore Francesco Diana, il 26 ottobre 2009, racconta: “L’affare dei video poker comprendeva l’imposizione dei siti con cui scommettere ovvero i siti Saturno bet e Golden bet a tutti gli esercizi commerciali che avevano un punto Snai o un punto Bar(…) L’imposizione trovava origine in quanto i siti erano di proprietà mia”. Il gruppo faceva lo stesso con il poker on line imponendo un altro sito di proprietà di un affiliato ai commercianti. I reggenti del triumvirato erano Francesco Diana, Francesco Avolio e Giuseppe Pellegrino rispettivamente rappresentanti dei Bidognetti, dei Licciardi e dei Mallardo con uno stipendio di 5 mila euro al mese. Le rette partivano dai 500 euro per i parenti dei detenuti. Il clan Mallardo è capace di “mimetizzarsi con il tessuto sociale ed economico – scrive il Gip Egle Pilla – compiendo una effettiva commistione tra l’economia lecita e quella illecita”. Attraverso gli imprenditori collusi, il clan ha esteso la propria influenza nel Lazio e nelle altre regioni italiani con speculazioni immobiliari, investimenti in finanza e ristorazione. Il collaboratore di giustizia Giovanni Chianese racconta la specificità della consorteria criminale: “Il Clan Mallardo non impone il pizzo estorsivo, ma gli esponenti di rilievo di tale organizzazione camorristica entrano in società con gli imprenditori di modo che questi ultimi mettono la “faccia pulita” all’attività economica”.
La bomba a Coppola
Soldi, ma anche armi, quando serve. Nell’ordinanza viene ricordato un altro episodio. L’esplosione di una bomba a Castelvolturno, nel 2005, davanti alla casa del costruttore Crisoforo Coppola, padre di Cristiana vicepresidente di Confindustria nell’era Marcegaglia. Episodio per il quale sono indagati, anche per detenzione di esplosivo, Tammaro Diana e Luigi Grassia, oggi collaboratori di giustizia. Nell’ordinanza, i pentiti ricostruiscono le presunte ragioni di quell’ordigno.
In particolare, il collaboratore Luigi Guida, il 6 ottobre 2009, racconta: “Ho tentato in diverse occasioni di incontrare il più importante degli imprenditori della famiglia Coppola che credo chiamarsi Vincenzo Coppola e dovrebbe essere il figlio di Cristofaro Coppola(…)”. Un incontro che Guida ha cercato perché alcuni affiliati gli avrebbero riferito che Coppola “per alcuni lavori – racconta il pentito – relativi alla pulizia delle strade e comunque a svariati appalti in genere come quello per la realizzazione del campo di golf, vedevano lavorare le ditte vicino alla famiglia Schiavone, Zagaria, O’Ninno, Peppe il padrino, come ad esempio la ditta del fratello di Schiavone“.
Guida provò a incontrarlo attraverso l’intervento di diversi politici locali, ma Coppola si rifiutò e così si decise la strada dell’intimidazione per punirlo. In passato i Casalesi hanno tentato di infilarsi negli affari della dinastia, ma Cristoforo Coppola, interrogato dagli investigatori, denunciò le pressioni, contributo che emerse in una ordinanza cautelare del 2008 a carico del clan. Nell’operazione di oggi c’è stato un nuovo sequestro di beni. Alessandro Pennasilico, procuratore capo di Napoli facente funzione ha sottolineato, commentando l’operazione, un aspetto: “In pochi anni abbiamo sequestrato solo ai Mallardo quasi 4 miliardi di euro, ma neanche un soldo è finito nella macchina della giustizia”.