Potrebbe tornare la politica, la vera politica, la politica dei cittadini e al servizio dei cittadini, la politica come passione civile. Quella politica che, non a caso, pigri giornalisti d’establishment continuano ad etichettare come “antipolitica”, solo perché è alternativa alla morta gora degli inciuci tra nomenklature di partito e all’attivismo delle relative cricche, pingui di malaffare. Il segnale che arriva da Genova è straordinario.
L’indipendente Marco Doria, sostenuto da don Gallo, straccia – è il caso di dirlo – le due candidate del Pd, con una campagna di una povertà impressionante, meno di diecimila euro e nessuna organizzazione (solo l’appoggio di Sel), che mobilita però le energie migliori della società civile. Un “nobile” fuori dai giochi e un prete di strada che umiliano l’apparato di un partito che controlla comune e regione, le gerarchie burocratiche sono peggio che incredule: groggy come un pugile suonato. E i vertici nazionali senza parole, perché Genova indica con chiarezza l’unica strada per un partito che voglia davvero riformare un’Italia che collassa d’ingiustizie.
Ieri erano pensosamente impegnati nell’attualissima disputa teologica sulla natura del Pd, se socialdemocratica o post-Lingotto, riaperta da alcune righe di Eugenio Scalfari: a elucubrare sulla prova ontologica di Anselmo d’Aosta sarebbero meno lontani dalla realtà. È evidente infatti che una politica progressista può tornare a vincere, ed anzi ad esistere, solo a partire da candidati del tutto estranei agli apparati e ai loro riti. Le rivalità dei D’Alema e dei Veltroni, esattamente come quelle dei Bersani e dei Matteo Renzi, sono solo cascami di un universo che ha la vitalità dello zombie, ma il potere di seppellire ogni rinnovamento nelle inerzie di casta. A livello politico l’Italia del privilegio ha realizzato già due metamorfosi, che le hanno garantito la continuità del potere, dal Caf a Berlusconi, e ora a Monti-Passera.
L’Italia di “giustizia e libertà” ha saputo esprimere dieci anni di lotte di massa straordinarie, ma nessuna rappresentanza o prospettiva politica organizzata. Genova (dopo Napoli, Milano e Cagliari, del resto) intima con chiarezza: se non ora, quando? Mentre la trojka Alfano-Casini-Bersani studia una riforma elettorale perché la politica rimanga “cosa loro” (questa è antipolitica!) bisogna che le testate fuori dal coro, gli intellettuali pubblici, la Fiom, facciano da catalizzatori ad una indignazione che è già forza costruttiva, e impongano all’ex-opposizione liste di società civile e primarie nazionali.
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