La Grecia è in ginocchio: dopo tre anni di terapia intensiva per curare l’eccesso di debito pubblico, il reddito nazionale è crollato del 12 per cento, la disoccupazione ha superato il 20, la protesta dilaga e il governo di coalizione è in pezzi. Eppure, l’Europa non è soddisfatta e chiede ulteriore rigore.

I tempi stringono: i 130 miliardi della rata di prestito concesso dal Fondo monetario e dalle istituzioni europee sono indispensabili per le necessità correnti e soprattutto per pagare gli interessi in scadenza la settimana prossima (15 miliardi). Il Parlamento greco dovrebbe votare questa sera le nuove misure imposte dai creditori. E’ probabile che alla fine Papademos ottenga i voti necessari, ma non per questo la situazione sarà risolta.

Il fatto è che il problema fondamentale, quello dell’insolvenza dello Stato greco, continua ad essere affrontato in modo improprio e questo soprattutto per proteggere gli interessi delle banche internazionali e delle stesse banche centrali, Bce in testa. Il debito greco, che ha superato il 170 per cento del Pil (era il 106 cinque anni fa), non può essere ragionevolmente rimborsato e dunque i creditori devono accettare un taglio. Ma per compiere questo apparentemente ragionevole passo si sono costruiti non uno, ma tre pasticci.

Primo: la misura del taglio, quindi delle perdite sopportate dai creditori. Per non far troppo male alle banche, si sono concordate riduzioni nettamente inferiori a quanto la realtà avrebbe dovuto imporre: un micragnoso 21 per cento a luglio, 50 per cento a novembre e ovviamente nessuna di quelle proposte è andata in porto. Oggi si discute se arrivare al 70 per cento, ma l’accordo non arriva.

Secondo pasticcio: per non creare problemi alla Bce e agli altri organismi pubblici che detengono titoli greci, l’accordo deve riguardare solo il settore privato, cioè le banche.

Terzo pasticcio: sempre per evitare ulteriori problemi alle banche, il taglio viene spacciato come un accordo volontario, che non fa scattare l’assicurazione sul rischio di credito sottoscritto attraverso derivati chiamati credit default swap.

Un capolavoro di ipocrisia, dietro cui si celano tutti i problemi della finanza di oggi e che è motivato dal fatto che il mercato dei Cds è cresciuto, sotto l’occhio sonnacchioso dei regolatori, al di fuori di ogni controllo, tanto che nessuno è in grado di sapere chi dovrebbe pagare quanto a chi nel caso la Grecia cadesse in un default conclamato.

Nel dubbio, si preferisce non far scattare la protezione assicurativa e così le banche che hanno venduto l’assicurazione, cioè hanno incassato il premio, si tengono i soldi mentre quelle che l’hanno comprata possono utilizzare il contratto per l’uso che tutti immaginano. Chi ha avuto, ha avuto e amici come prima. Meglio così, del resto, che mettere in moto una reazione a catena forse inarrestabile, tanto più che le banche hanno svalutato in bilancio i loro crediti verso la Grecia e dunque l’operazione etichettata come “volontaria” non comporta ulteriori salassi per il bilancio.

Nel frattempo, le banche centrali, e la Bce in particolare, stanno inondando di liquidità il mercato e dunque consentono alle banche facili profitti: chi osa mettere in discussione gli interessi della gallina dalle uova d’oro? Ma chi ha comprato Cds, se solo avesse interesse a porsi al di fuori del sistema, avrebbe tutte le ragioni per considerarsi come quello che ha perso nell’incendio due terzi della casa e si sentisse dire che l’assicurazione non copre i danni perché la definizione che dà delle macerie fumanti non è esattamente quella dell’incendio.

Nessuno si sogna di dire che quanto sta succedendo è la dimostrazione lampante del fatto che il mercato dei Cds, come molti altri settori dei derivati, non solo è inefficiente, opaco e al di fuori di ogni controllo, ma soprattutto che è la dimostrazione di come le soluzioni della crisi dipendano sempre più non da considerazioni reali sull’economia dei Paesi e sulla loro capacità effettiva di sopportare i costi dell’aggiustamento, ma dalle esigenze del mondo della finanza.

Tutte queste considerazioni non fanno parte della real politik che guida le scelte del Fondo monetario e delle istituzioni europee nei confronti della Grecia. Spetta a Papademos che – guarda caso – fino a ieri sedeva nel consiglio direttivo della Bce, assicurare il consenso interno. Ma come dimostrano le cronache di questi giorni, non è detto che questa nuova tornata di sacrifici, ammesso che ottenga i voti in Parlamento, venga accettata da una popolazione sempre più esasperata.

Se così fosse, si apriranno due scenari molto inquietanti, che sono stati finora accuratamente nascosti sotto il tappeto. O un default conclamato che coinvolga tutti i creditori e non solo quelli privati, oppure una soluzione ancora più traumatica che associ il default all’uscita della Grecia dall’euro e forse anche dall’Unione europea. Scenari apocalittici, ma che diventeranno di drammatica attualità nei prossimi giorni.

Il Fatto Quotidiano, 12 febbraio 2012

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