Il presidente siriano Bashar al Assad

E’ stato il giorno della fuga degli ambasciatori da Damasco. E dei colloqui nella capitale siriana del ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, che ha incontrato il presidente siriano Bashar Assad. Ma è stato anche il giorno di nuovi cannoneggiamenti su Homs, e di nuove vittime, almeno 20, nella città assediata ormai da giorni dai tank dell’esercito regolare siriano che continua a bersagliare con colpi d’artiglieria i quartieri più riottosi.

Al richiamo dell’ambasciatore statunitense, deciso ieri da Washington hanno fatto seguito la decisione spagnola e francese di richiamare in patria i rispettivi rappresentanti nella capitale siriana. L’Italia non è stata da meno: il ministro degli esteri Giulio Terzi di Sant’Agata ha annunciato il richiamo a Roma dell’ambasciatore a Damasco, Achille Amerio. Ieri era stato il portavoce della Farnesina Giampiero Massolo a presentare all’ambasciatore siriano a Roma Khaddour Hassan le ferme proteste dell’Italia per la repressione che dura ormai da undici mesi e non risparmia nessuno, nemmeno i bambini. Secondo i dati dell’Unicef, diffusi dall’ufficio dell’organizzazione a Ginevra, sono almeno 400 i minori e gli adolescenti uccisi dall’inizio della repressione. L’isolamento diplomatico della Siria, peraltro, potrebbe allargarsi nelle prossime ore, visto che diversi paesi arabi del Golfo hanno annunciato l’imminente espulsione degli ambasciatori siriani.

Chi non rompe le relazioni diplomatiche, invece, è la Russia, che sabato scorso all’Onu ha bloccato con il veto la bozza di risoluzione di condanna stesa dalla Lega araba assieme ai diplomatici europei. Il capo della diplomazia del Cremlino, Sergei Lavrov, è stato a Damasco per incontrare il presidente Bashar Assad. Secondo Lavrov, che ha parlato con i cronisti – soprattutto siriani tranne i pochi giornalisti stranieri presenti nel paese – Assad è «pienamente impegnato» a far terminare lo spargimento di sangue nel paese. Assad, ha aggiunto Lavrov, dovrebbe annunciare a breve la data del referendum e la promulgazione di una nuova costituzione. «La Russia ha confermato la propria disponibilità a lavorare per una rapida soluzione basata sulle proposte della Lega Araba», ha detto ancora Lavrov, ma poco dopo queste dichiarazioni, secondo la Bbc, che ha a Damasco uno dei suoi inviati, alcuni funzionari siriani hanno precisato che Lavrov non si riferiva alle attuali proposte della Lega araba – che prevedono tra l’altro le dimissioni di Assad e il passaggio di consegne al vicepresidente – ma di nuove proposte. Quali, però, non è dato sapere. La Siria, secondo Lavrov, sarebbe pronta a chiedere alla Lega Araba un’estensione e un ampliamento della missione degli osservatori internazionali, sospesa pochi giorni fa dopo infinite polemiche sulla loro reale efficacia.

Ma è una richiesta che, in mancanza di un cessate il fuoco e dell’ordine per far rientrare l’esercito nelle caserme – oltre alla liberazione delle migliaia di prigionieri politici chiesta delle opposizioni – rischia di rimanere solo una manovra diplomatica per guadagnare tempo, in attesa o del crollo delle manifestazioni, che per il momento non si vede, o di un qualche sviluppo diplomatico favorevole al regime. Al di là del sostegno russo e cinese e di quello, più discreto, dell’Iran, il governo siriano, però, appare sempre più solo.

Ad Ankara, davanti ai parlamentari, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha detto che la Turchia «è pronta a lanciare una nuova iniziativa con quei paesi che appoggiano il popolo siriano e non il regime». Erdogan è stato molto duro e ha definito lo stallo all’Onu «un fallimento per il mondo civilizzato». «Quelli che si stanno girando dall’altra parte e quelli che non stanno reagendo come dovrebbero – ha detto ancora il premier turco – subiranno le conseguenze come se loro stessi stessero alimentando il massacro». «Nessuno ha pagato per il massacro di Hama venti anni fa – ha detto ancora Erdogan ricordando lo sterminio di oltre 30mila persone, nel 1982, operato da Assad padre – Ma di sicuro qualcuno dovrà rendere conto per il massacro di Homs oggi».

E a Homs, secondo le testimonianze che riescono a filtrare sulla rete, sono continuate a cadere le bombe, i colpi di mortaio e i proiettili dell’artiglieria. I tank dell’esercito regolare sono tornati in azione questa mattina all’alba e secondo gli scarni resoconti che si possono rintracciare, starebbero avanzando verso il centro della città, senza però che ci sia ancora stato il temuto assalto di fanteria, con i conseguenti rastrellamenti casa per casa alla caccia dei miliziani del Free Syria Army e degli oppositori al regime. Il ministro dell’interno siriano ha detto che le operazioni andranno avanti fino a quando «l’ordine e la sicurezza» non saranno ristabiliti a Homs. Come per Hama venti anni fa, però, l’ordine che il regime vuole ristabilire somiglia sempre di più a quello di un cimitero.

di Joseph Zarlingo

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