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Quinta communications: gli affari di Berlusconi, Gheddafi e Ben Ammar

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Il produttore cinematografico tunisino Tarak Ben Ammar

“Quinta Communications è stata creata nel 1990, come risultato dell’incontro tra Silvio Berlusconi e Tarak Ben Ammar”. Si legge così sul sito della società, con sede in Avenue Hoche 16 a Parigi. Un “gruppo integrato del settore audiovisivo con una dimensione internazionale”, che offre servizi vari, dalla postproduzione in studio alla distribuzione, ma anche finanziamenti e “televisione in Francia e in Italia”.

Fino al 2009 gli azionisti di Quinta sono lo stesso Ben Ammar, produttore cinematografico tunisino naturalizzato francese e la Fininvest della famiglia Berlusconi, attraverso la holding lussemburghese Trefinance. Poi, nel giugno del 2009, arrivano i libici. Grazie a un aumento di capitale entra nell’azionariato il fondo sovrano libico LIA (Lybian Investment Authority), con il 10%, mentre, dopo il riassetto, a Ben Ammar rimane il controllo con il 68% e a Fininvest/Trefinance va il 22%. A confermarlo, agli inizi di marzo, è stato lo stesso Ben Ammar in una nota inviata alla stampa. Con una precisazione, riportata dal Sole 24 Ore: “il fondo libico non ha nessuna partecipazione in Quinta Communications Italia, il cui unico azionista è Tarek Ben Ammar”. Nessun affare libico in Italia nelle televisioni quindi.

A sentire Ben Ammar sembrerebbe di no. I libici non sarebbero presenti nemmeno in Nessma TV, la nuova televisione satellitare del Maghreb, con sede in Tunisia, che tra i mercati di riferimento ha anche la Libia. “Nessma è controllata dai fratelli Karoui, da Prima tv e da Mediaset”, ha aggiunto Ben Ammar. Con tutti i distinguo e le precisazioni del caso un fatto è certo e non è mai stato smentito: Berlusconi, Gheddafi e Ben Ammar hanno fatto affari insieme nel mercato televisivo. E continuano a farli. E se “Ben Ammar è un puro e semplice uomo d’affari e può fare ciò che gli pare in termini di investimenti, Berlusconi è in una posizione molto diversa come primo ministro di una nazione democratica”, commentava John Hooper sul Guardian nel giugno del 2009. Lo sappiamo da tempo, con buona pace della stampa anglosassone.

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